mercoledì 15 dicembre 2010

Intervista sul Corriere di Parma

Domani 16 dicembre alle ore presso la Libreria Battei di via Cavour (Parma) verrà presentato il numero invernale de Il Corriere di Parma, edito appunto da Battei. All'interno c'è un'intervista che ho rilasciato al collega scrittore e critico Roberto Tanzi che ringrazio di avermi dedicato lo spazio in quella che diventerà una rubrica sugli scrittori parmigiani.
Un'altra piccola soddisfazione si aggiunge alle precedenti. Intanto proseguo con la stesura dell'opera steampunk che mi ha preso e attendo i primi capitoli del Trigillo da editare.
A presto

giovedì 2 dicembre 2010

Collaborazioni

Ho scoperto che il mio caro amico Christian Garimberti è un bravissimo fotografo. E l'ho scoperto perché mi ha proposto di commentare un suo album con belle foto di Parma in bianco e nero. Ho accettato immediatamente e il frutto della collaborazione lo travate a questo indirizzo. Il suo sito personale invece è qui (e lo aggiungo anche nei menu laterali).
Bravo Garimba!

lunedì 8 novembre 2010

Trigillo - Stesura terminata

La stesura del Trigillo è terminata. E' stata dura e lunga perché ho dovuto comprimere gli accadimenti per fare in modo che tutte le porte che avevo aperte nei primi due volumi si chiudessero e che le vicende dei protagonisti trovassero un loro logico e verosimile epilogo.
Temo che ci saranno colpi di scena che lasceranno l'amaro in bocca, le amate cavie cui l'ho sottoposto mi hanno posto tutte le loro perplessità circa alcuni tragici eventi.
Una critica costruttiva e assolutamente veritiera e inerente alla partigianeria nei confronti dei protagonisti mi ha aperto gli occhi e mi ha reso più cinico e più spietato. Ci saranno nuovi protagonisti e accadranno cose spiacevoli e morti illustri, ma questa è la vita.
ISDV e ISDT erano divisi in tre parti, il Trigillo è diviso in due parti che narrano vicende parallele ma divise logicamente in due parti e non a capitoli alternati (la narrazione de ISDV e ISDT era dispersiva a giudizio di parecchi lettori) che si ritrovano nel finale.
Dove ci condurrà la storia? Abbiamo lasciato Gwyllywm alle prese con il suo tormenttato passato di ortodosso, Khayn al suo amore non ricambiato per Alywya, Gabriel alla ricerca della conoscenza ma con la spalla marchiata dal demone Jaquish (intenzionato a vendicarsi di Gwyllywm e di tutti gli elfi), Hulbert e Amber innamorati e sopravvissuti a una guerra che ha dilaniato il continente di Arhanien; Gorogol si è liberato degli orchi che lo avevano asservito e Laoden di Alerbia cerca ancora vendetta contro suo padre Vortigern per aver abbandonato la madre.
La narrazione vi riporterà alla Biblioteca dei Sentimenti Perduti e vi mostrerà Amaradantis, la capitale dell'Impero Malgiusiano con la sua Università di Magia e i suoi intrighi; vedrete il feudo e il Castello di Brora e infine Anchor Seinan, l'antica capitale degli elfi che custodisce il meteorite di Ulash Biner e i suoi sconvolgenti segreti.
Ce l'ho fatta a dirvi tutto senza svelarvi nulla?
A presto

giovedì 14 ottobre 2010

Steampunk? Sì, grazie

Lo so, c'è ancora il Trigillo da editare.
Lo so, devo finire La Tela.
Lo so, c'è da piazzare Il crepuscolo degli Eccelsi.
Lo so, c'è da aggiornare il blog un po' più spesso.
Però mi sono imbattuto in vari concorso di steampunk. Fantastico, avevo già scritto qualcosa al riguardo (e ne avevo parlato) ma era più steamfantasy: mi si sono illuminati gli occhi e ho pensato che i tagli che avevo fatto alla bozza della trama potevano andare bene per un racconto steampunk. Sono andato a rivedere le pagine (ben dieci messe a diario e da risistemare). Ottimo, il lavoro era quasi pronto nonostante la prima persona e la stesura sotto forma di diario. Non male. Davvero non male. Ho riletto la trama e ho notato che avrei potuto inserire alcune parti interessanti. Poi che avrei potuto aggiungere anche altre due o tre cosine, poi riesumare due personaggi storici interessanti, poi sfruttare altri personaggi letterari altrettanto interessanti. Risultato? Non è più la trama per un racconto, ma per un romanzo! O_o
Ora quindi ho qualcosa da fare mentre editerò il Trigillo e La Tela e attendo le risposte per Il crepuscolo degli Eccelsi.
Sì, sono suonato.
A presto

lunedì 27 settembre 2010

Trigillo, seconda stesura

Ho terminato la seconda stesura del Trigillo. Volevo tagliare e tagliare. E ho tagliato. Solo che poi ho anche aggiunto... sono a 570.000 battute. Ora attenderò qualche settimana, stamperò la seconda stesura della seconda parte e la darò in pasta ai miei famelici lettori che dovranno trovare tutti i punti critici che sono rimasti (speriamo pochi!), ovvero le cose non specificate, quelle specificate troppo, le divagazioni inutili, le descrizioni e i dialoghi stuccosi, eccetera.
Nel frattempo ho fatto la terza stesura del romanzo sui vampiri: ora è pronto per un editore.

mercoledì 15 settembre 2010

Mail da un amico - Parte VII

[...] Ciao, ti ho dato retta perché hai ragione, ma non è servito. Ero arrivato a un punto di equilibrio che pensavo potesse reggere: compravo la carne migliore rintracciabile a Fort William e la lasciavo nella scodella che fu di Nessie, assieme a un bicchierino di whisky. Il mio sgradito ospite pareva aver apprezzato le mie gentilezze e abbiamo passato un periodo di convivenza forzata che, se non posso definire piacevole, almeno è stato privo di turbolenze. Io gli fornivo viveri e alloggio e lui sistemava la casa, ritrovava gli oggetti persi e faceva quanto occorreva per occuparsi di ogni faccenda.
La settimana scorsa è successo l'imprevisto che mi ha riportato alla dura realtà. Forse la carne non era di buona qualità, forse ho esagerato con il whisky... non ho idea di cosa possa essere cambiato (ed è proprio questo che mi spaventa: non ho più controllo) ma lui è uscito di casa per fare uno spuntino.
Il giorno dopo la figlia di Marc Bakeley è stata trovata in camera sua e hanno faticato a rimetterne insieme i pezzi. Padre Matthew [il pastore anglicano], ha fatto un'omelia che ha messo i brividi a tutti per la cattiveria con cui si è scagliato contro l'assassino. Temo per la mia anima e prego Dio che faccia qualcosa: ho paura di comandare il mio sgradito ospite mentre dormo, mentre sogno. Ho paura che non sia lui a decidere chi uccidere, ma che lo faccia per recarmi un servigio, per essere apprezzato, non soltanto per bieca vendetta contro di me. Non riuscivo a reggere la situazione.
Ho più volte pensato di gettarmi nel Linnhe con il medaglione per portare con me la mia maledizione. Quando ormai avevo pianificato il mio suicidio reperendo grosse pietre da legarmi ai piedi e una barca da noleggiare dalla quale buttarmi, mi è tornata in mente le chiacchierate che facemmo sui luoghi che avevi visitato sulle isole britanniche. Mi avevi parlato di Stonehenge, Salisbury, dei castelli del Galles, dela Cornovaglia, e di quela città, della Seconda Gerusalemme, di Glastonbury, nel Somerset, con il suo corollario di santoni, mistici e negozi specializzati in esoterismo. Ho fatto qualche ricerca su Google, ho trovato un tipo di nome Ryan che oltre a gestire un interessantissimo blog e un sito di mistero, possedeva un negozio di oggettistica soprannaturale e curiosità religiose a Glastonbury. Ho avuto uno scambio intenso di e-mail, ci siamo parlati al telefono e ho deciso di affidarmi a lui e sono partito.
Da quello che ricordo dei tuoi viaggi, potresti anche esserci entrato con Paolo e Lorenzo: si chiama The Esoteric Shop, è un buco incastonato tra il supermercato e l'entrata del Tourist Office. In vetrina c'era esposto di tutto, ma la chicca erano le statue di oscure divinità che tu conoscerai sicuramente ma senza le quali si può vivere ugualmente felici. Guardando gli scaffali per la prima volta ho pensato che le persone interessate a queste cianfrusaglie devono essere davvero ben strane. C'erano libri colme di leggende sul GRAAL, sui folletti (un libro che ho spulciato con molto interesse), sulle ricette, sulle pozioni, sulla magia. Per non parlare delle statuette: di vetro, plastica, coccio, di qualsiasi cosa.
C'erano un pavimento di legno con listelli a lisca di pesce, librerie alle pareti e un tappeto persiano con un tavolino pieno di chincaglieria e una poltrona rossa. Aleggiava un aroma vago di spezia che non avevo mai sentito prima.
Questo Ryan, è un ragazzo che potrebbe avere la tua età ma non è molto alto, è tondo in viso e sfoggia una corporatura robusta della quale va molto fiero. E' rotolato fino a me e abbiamo chiacchierato del viaggio e del tempo. Quando tra noi sono terminati gli argomenti più futili ed è sceso un silenzio davvero ingombrante, lui mi ha chiesto se poteva vedere il medaglione. Quando ho annuito e infilato la mano nel soprabito, Ryan è uscito, ha controllato che non ci fosse nessuno per strada e ha girato il cartello OPEN su CLOSED, chiudendo a chiave la porta a vetri. Ha spento la luce del negozio, che è precipitato in una penombra soffusa e magica ed è rimasto illuminato soltanto dai lampioni della strada, e ha acceso la lampada d'acciaio del bancone.
Ho appoggiato il medaglione sotto la campana di luce, lui ha indossato dei guanti in lattice e preso uno di quegli ingranditori che usano gli orefici; ha studiato il monile a lungo, senza dire una parola. Lo rigirava, passava le dita tra le scanalature ed esaminava ogni pollice a pollice con l'ingranditore. Poggiò il medaglione dove l'avevo messo io, chiuse gli occhi, si afferrò la faccia con le mani e rimase immobile e in silenzio fino a quando non mi misi a tossire per finta. Mi fissò e mi chiese come fosse possibile che lì dentro ci stesse un folletto.
Annuii e gli spiegai che ero lì per scoprirlo e che sarebbe stato lui a dovermelo dire.
Mi spiegò che non era un archeologo ma poteva affermare senza difficoltà che il medaglione era molto antico, anche se non sapeva quanto. La sua faccia tonda e piena attraversò tutte le espressioni di dubbio e sconforto, poi si illuminò e Ryan prese la porticina che si apriva dietro il bancone, scostando la tenda rossa ricamata con fate, funghi, unicorni, folletti e tornò con una scatola pesante, rettangolare; appoggiatala e apertala, ne trasse un libro rilegato in pelle e decorato con animali stilizzati simili a quelli del medaglione. Ripresi il monile e lo infilai in tasca.
Ryan sussurrò che il libro contenesse tutto lo scibile umano sulle diavolerie come il mio gingillo e cominciò a cercare qualcosa che lo riguardasse. Quando aprì il libro, l'odore della pergamena, del cuoio e della polvere si mischiò a quello dell'incenso e delle spezie, facendomi starnutire; Ryan girò le pagine come un religioso alle prese con un testo sacro. Dopo minuti di silenzio snervante, mi appoggia sul bancone, mi allungai verso il libro e sbirciai sulle pagine miniate.
La pergamena era scritta in latino, a mano, ed era ricca di immagini, vergate con il medesimo inchiostro bruno del testo. Sulla pagina dove Ryan leggeva, c'erano i disegni di un vecchio con una lunga barba (un druido forse), e di alcuni gioielli (collane, anelli e una spada) con decorazioni simili a quelle del mio ciondolo. Alcune parti del testo parevano gaelico ma non riuscii a decifrarle.
Ryan mi intimò di non leggere con voce calma: a quanto pare c'erano rivelazioni su Cose che ci circondano e che non vediamo tanto raccapriccianti da portare alla follia.
Provai un lungo brivido, mi allontanai dal bancone mi buttai sulla poltrona di pelle scarlatta che restava alla destra del mobiletto sommerso di cianfrusaglie.
Graffiai il silenzio della lettura per chiedergli se mi credesse e mi diede una risposa che non dimenticherò.
«Non vedo perché non dovrei» disse continuando a leggere. «C'è chi crede nei fantasmi, nei miracoli, e persino chi crede ai governanti. Se un operaio crede alla politica di un leader di destra, perché io non dovrei credere ai folletti?»
La risposta mi lasciò uno strano sapore in bocca, poi Ryan cambiò discorso e centellinò informazioni sul Piccolo Popolo e sulle leggende che lo riguardavano. Dopo una lunga ricerca, mi invitò dalla sua parte del bancone per guardare quel che aveva trovato.
Sbirciai sulle pagine di pergamena e Ryan mi spiegò che si trattava di un "famiglio", e nella fattispecie di un brownie. Il disegno era esplicativo nel suo repellente minimalismo. Il mostriciattolo era alto sessanta centimetri, aveva carnagione scura, pelle scura e grinzosa, un naso lungo e le gambe storte. Ryan lesse che un brownie amava terminare i lavori degli uomini in cambio di un po' di latte, miele e biscotti; non amava essere criticato e in caso di tensioni con il padrone, diventava permaloso e si dilettava in perfide burle. Perfide burle. Mangiare Lassie e sbudellare i miei vicini non rientra in quel concetto.
Rimaneva da capire che cosa ci facesse il mostriciattolo dentro un medaglione ma Ryan mi espose la teoria che aveva preparato: a suo avviso, il brownie era legato al medaglione a causa di una punizione subita dal suo signore, che lo obbligò a esaudire i desideri dei suoi padroni.
Dopo quanto sviscerato da Ryan, i fatti cominciavano a prendere una piega se non scientifica, almeno riconducibile a rapporti di causa ed effetto. Il signore del mio sgradito ospite lo aveva punito rinchiudendolo in un medaglione affinché facesse da schiavo a chi entrava in possesso del monile. Presi a camminare per il negozietto colmo di cianfrusaglie e dopo aver girato attorno al mobile e alla poltrona, formulai la domanda che più mi premeva. Potevo liberare il mostriciattolo dalla sua punizione oppure renderlo al proprio signore?
Ryan fece una smorfia, si grattò la testa e mi fece un nome.
Gwyn ap Nuud.
A stare alle incisioni sul monile era lui il signore del brownie. Gwyn ap Nuud, il Signore delle Fate e il sovrano dell'Annwn, il regno dei morti. Non era una bella prospettiva.
Quando chiesi a Ryan come restituire il monile, mi guatò con occhi piccoli e cupidi, come se bramasse il medaglione; mi disse che era un azzardo e che l'oggetto che avevo trovato era prezioso. Provò in mille maniere ma non riuscì a convincermi; il fatto che il medaglione fosse legato a me lo fece desistere e lo convinse ad aiutarmi a restituirlo al Signore delle Fate. Infagottò il librone, lo ripose nella sua scatola e lo prese sotto braccio; mi invitò a seguirlo e uscì dal negozietto eccitato come un bambino.
Appena uscimmo cominciò a piovere, il cielo si illuminò e un tuono brontolò in lontananza. Ryan camminava spedito, entusiasta e la faccenda mi preoccupò. Parlammo su cosa doveva essere fatto. Eravamo diretti alla collina del Tor, nonostante facesse ormai buio e la pioggia avesse cominciato a battere la città. Dal Tor Ryan avrebbe evocato Gwyn ap Nuud con un antico rituale affinché si riprendesse il monile. Rabbrividii all'idea che esistono fatti e persone che sfuggono alla comprensione razionale degli eventi. Ryan mi disse che era la prima volta che provava a fare una cosa del genere e che non sapeva nemmeno se esistesse Gwyn ap Nuud. Ma c'erano delle istruzioni, c'erano delle parole, delle frasi, un rituale da compiere, un posto dove farlo. Noi eravamo nel posto giusto e avevamo le parole giuste. Sperai che fossimo anche le persone giuste.
Ryan accarezzò la scatola che aveva infilato sotto l'impermeabile e procedette spedito verso la collina del Tor, alla periferia nord di Glastonbury. Pioveva che Dio la mandava. O forse non era il Dio dei cristiani ma il Dio celtico della pioggia. O forse era il Dio gaelico, o quello anglio. Insomma, non so chi mandasse quella pioggia sottile, sferzante, fredda e cattiva, ma so che era metà giugno e una pioggia del genere doveva per forza orchestrarla qualcuno perché non aveva nulla di naturale. Settimane fa non avrei dato alcun peso alle parole di invasati come Ryan, e non avrei dato alcun credito a un certo tipo di pubblicazioni. Ora quel libro mi spaventava e a ogni vicolo mi guardavo intorno, e indietro, scorticato dalla paura di incontrare cose che non credere esistere.
Iniziammo la scalata alla collina del Tor che il cielo sembrava una lastra di nero granito spezzata da fulmini bianchi e forcuti. I tuoni scoppiavano come i moschetti degli inglesi a Culloden e il buio era tale che la torre del campanile di San Patrizio, sulla sommità della collina, nemmeno si intravedeva. Salimmo incespicando lungo il sentiero sull'erta e mi accorsi di essere arrivato in cima soltanto per via della pendenza che scemava. Camminai come un cieco aggrappandomi all'impermeabile di Ryan ed ebbi un tuffo al cuore Ryan entrò e, finalmente al riparo dalla pioggia, accese una lampada portatile.
Lo insultai, scosso dalla scoperta: avevamo attraversato la campagna umida e buia e lui non l'aveva usata. Fece spallucce e non prese sul serio la mia rabbia: conosceva la strada a memoria e non voleva consumare le batterie. Mi chiese di reggere la lampada, sfoderò il libro curandosi che non fosse raggiunto dalla pioggia e cominciò a leggere una formula presa dalla pagina con i disegni simili alle celtic knoth del monile.
Ryan parlò una lingua che sembrava gaelico ma che mi diede i brividi perché non ne riconobbi le parole ma che la mia anima percepì essere molto più antica più di qualsiasi dialetto che ancora sopravvive negli angoli più remoti di Albione, molto più antico della lingua che parlavano i nostri antenati quando combatterono i Fomori, una lingua che affondava le sue radici nei giorni in cui erano le donne a governare il nostro mondo e a tramandare la discendenza. Non chiedermi altro perché non saprei come spiegartelo, è stato un brivido, è stata la rivelazione di qualcosa di ancestrale. Non saprei come tradurti ciò che è stato detto da Ryan, non saprei nemmeno riportare i suoni gutturali e tremendi che emise. Soltanto quel nome risaltava su tutto. Gwyn ap Nuud. Gwyn ap Nuud. Gwyn ap Nuud.
Quando terminò di recitare l'invocazione uscimmo dal campanile. Il cielo stellato si aprì sopra il Tor e le nubi vorticarono, come se fossimo nell'occhio di un ciclone. Il frastuono, un fragore come di una cascata divenne insopportabile e un odore putrido e antico giunse dalla campagna, togliendomi il respiro. Attorno a noi, i campi verdi separati dalle staccionate svanirono in un oceano di bruma luminescente che catturava il chiarore delle stelle e della luna. Mi scoprii immerso in un mare di luce, su quell'isola di vetro che prende il nome di Avalon.
Dopo minuti di silenzio che picchiava come un fabbro, l'odore putrescente scomparve, il cielo si richiuse e il buio, il freddo e la pioggia di Glastonbury tornarono a insinuarsi sotto i nostri vestiti.
Domandai a Ryan se pensava che avesse funzionato ma egli ripose il librone nella fodera e nella scatola. Mi disse di guardare se avevo ancora il medaglione con me e frugai nella tasca.
Il medaglione era ancora con me.
Mi caddero le braccia ma la mia delusione non contagiò Ryan, che mi assicurò che prima o poi qualcosa sarebbe successo. Si precipitò giù dalla collina fischiettando, io lo seguii senza dire una parola. Il cielo si era rasserenato e la luna illuminava i campi e il sentiero che riportava in città. Raggiungemmo la strada che andava verso il centro e da lì in un batter d'occhio superammo il pozzo del Sacro GRAAL e l'abbazia dove era sepolto Re Artù. Mi parve di correre per rimanere al passo di Ryan ma quando arrivammo al b&b dove alloggiavo non avevo il fiatone e non mi sentivo stanco.
Ryan sorrise e mi strinse la mano sulla soglia del giardino che conduceva alle camere. Potevo tornare a Fort William e confidare che presto sarebbe accaduto qualcosa.
«Presta fede» mi disse: «qualcosa accade sempre, prima o poi.»
Avrei voluto insultarlo e dargli del ciarlatano ma non aveva voluto una sterlina per l'aiuto e così, sconsolato, convenni con lui che sarebbe stato meglio ritornare a casa. Ryan si allontanò lungo la strada che affogava in una polla di buio indefinibile ma quando passò sotto un lampione, per un attimo, soltanto per un attimo indefinibile e terrificante, ebbi l'impressione di scorgere una coda puntuta muoversi sotto il suo impermeabile.

lunedì 6 settembre 2010

I Sigili digitali? Sì grazie!

Giusto un flash per comunicare che Asengard propone le versioni e-book dei Sigilli. Si trovano per esempio su IBS: Il Sigillo del vento e Il Sigillo della Terra. Io dei libri preferisco sempre le versioni cartacee: non ti piantano in asso perché hanno finito le batterie, puoi fare le orecchie alle pagine e sottolineare quello che ritengo impotante.

Trigillo - Fine prima stesura

Ho la notizia che in molti attendevano.Ho terminato la prima stesura della Parte VIII, la seconda e conclusiva del Trigillo. Sono
572.632 battute che unite a quelle della PARTE VII fanno un volume un po' più spesso de Il Sigillo della Terra. Ora lascerò decantare qualche settimana quanto scritto e lo rivedrò per una seconda stesura nella quale voglio portare le battute a 550.000 lavorando di fino su quanto già scritto; terminato questo lavoro di scalpello, stamperò la seconda stesura e, dopo una settimana di abbandono, la leggerò su carta io e qualche (s)fortunata cavia. Sono soddisfatto ma non fino in fondo. Avevo scritto due capitoli che ho dovuto tagliare per non dare un'impronta troppo fanascientifica al tutto: mi piacevano, erano riusciti bene ma dopo una rilettura critica mi sono convinto che dare un taglio del genere era osare davvero troppo, soprattutto dopo quello dato nei volumi precedenti (pazienza, riciclerò l'idea di base per qualcosa da scrivere in futuro). Forse l'ho già scritto ma ci tengo a scriverlo ancora: l'atmosfera è più cupa dei volumi precedenti e i fatti sono più crudi nonostante non abbia affrontato nessuna vera e propria "battaglia campale" come ne Il Sigillo della Terra. Vedremo se il taglio che ho dato sarà apprezzato.
A presto

giovedì 19 agosto 2010

Stiamo lavorando per voi!

Sto scrivendo gli ultimi capitoli della seconda parte del Trigillo (per la precisione è la PARTE VIII). Ho già tutto chiaro, ho buttato giù le tracce, devo soltanto descrivere con puntualità quello che ho immaginato. La PARTE VII è già in mano agli editor quindi il lavoro è avanti. La PARTE VII è circa 480.000 battute, la PARTE VIII è attualmente di 540.000 ma con molta probabilità due dei capitoli che ho scritto andranno eliminati e conto in seconda stesura di assestarmi su un numero di battute inferiore alle 500.000: questo significa che il Trigillo avrà all'incirca le stesse dimensioni della Terra.
Di cosa parlerà il Trigillo? Il Vento parlava della lotta tra Gwyllywm e Raylyn, la Terra di quella tra Laoden di Alerbia ed Atar-Al-Karem, il terzo si focalizzerà su uno dei due Sigilli rimanenti (scommettete gente, scommettete...) ma nessuno dei personaggi sopravvissuti verrà dimenticato e la loro storia subirà nuovi intrecci e nuove rivelazioni. Rivedremo Vortigern, Noa, gli Anziani di Kaerwood, Meldor, Amber, Hulbert, Laoden, il Terzo Cantore, Gwyllywm, Khayn, gli Ortodossi, i Revisionisti, Gabriel, le Scaglie Nere, le Scaglie di Rame. E oltre a tutti loro, naturalmente, qualche nuovo personaggio pronto a seminare zizzania e a minare i rapporti nati dopo la battaglia di Antioch. Di più non posso dire, mi spiace. Pazientate ancora qualche mese.
Un saluto.

martedì 10 agosto 2010

eBook

Il Sigillo del Vento e Il Sigillo della Terra sono ora anche in formato eBook. Li trovi a questo indirizzo, su Simplicissimus Ebook Store. Un altro passo avanti.

martedì 3 agosto 2010

News

Faccio ammenda per la scarsità di aggiornamenti. Perdonatemi, ma è che sto scrivendo e il tempo per farlo è davvero risicato.
Colgo l'occasione per ringraziare i ragazzi del Centro Giovani Federale di Parma che il 21 luglio mi hanno regalato una serata davvero piacevole; il mio ringraziamento va anche a Davide Castellazzi, con il quale condivido un sacco di interessi e persino gli studi alla stessa università, ed è doppio, perché mi ha fatto da relatore e perché ha portato i fumetti di Gundam in Italia.
Veniamo al Trigillo. Come ho già detto è diviso in due parti. La prima ha superato la seconda stesura e adesso è in fase di lettura/correzione, per la seconda invece siamo a 131/141. Seguiranno aggiornamenti.
A presto

sabato 17 luglio 2010

Flash

Mercoledì 21 alle ore 21 sarò al Centro ex Federale di Parma di via XXIV Maggio dove presenterò Il Sigillo della Terra.
Si tratta un'iniziativa nell'ambito di un progetto culturale che punta a unire giovani e scrittori.

domenica 27 giugno 2010

Parmafantasy e Robin Hobb

Il 13 giugno alle 11 ho fatto da relatore alla fantastica Robin Hobb che, nel suo primo tour italiano presentava il suo ultimo libro "Il custode di draghi" (il titolo corretto è "Il custode del drago" - ringrazio il Fan Club non ufficiale di Robin Hobb per avermelo fatto notare :-) ). E' stata un'esperienza fantastica, e non solo per la caratura e la simpatia di Robin ma anche per tutte le persone che avuto occasione di conoscere (i ragazzi del fan-club, Sara che l'accompagnava e molti altri). A breve posterò un intervento con quello che ci siamo raccontati, con le domande che il pubblico ha posto alla splendida Robin (e con qualche foto se riesco a reperirla. Ebbene sì, mi sono impegnato tanto nel preparare il discorso e le domande che ho lasciato la macchina fotografica a casa!).
Mi permetto di dire soltanto una cosa, e riguarda la presenza di pubblico, perché un personaggio del calibro di Robin si meritava una sala stracoma di gente e non solo quasi-piena!
Maledizione, c'era Robin Hobb alla sua prima in Italia, dov'eravate tutti?

domenica 13 giugno 2010

Mail da un amico VI

[…] ho seguito il tuo suggerimento, con un po’ di apprensione ma l’ho seguito. E non avrei dovuto farlo.

La mattina del 30 mi sono alzato con il sorgere del sole e ho preso il medaglione. Non l’ho toccato, come avevi suggerito, e l’ho riposto in uno straccio. Mentre lo facevo, ho temuto che la casa potesse cadermi sulla testa, ma non è accaduto. Tuttavia, e non so se sia stata la mia immaginazione, ma mentre lo afferravo mi è sembrato che lo studio si rimpicciolisse e che, nonostante questo, ogni cosa divenisse più lontana, estranea. Non mi sono soffermato a indagare su questa strana sensazione, ho infilato l’impermeabile e sono uscito. O meglio, sono scappato. La porta di casa era diventata pesante e attraversare il salotto mi è costata una fatica senza precedenti. La chiave nella toppa non voleva saperne di girare e mi è venuto lo stupido dubbio che la mia casa non volesse lasciar andare il mio sgradito ospite. Quando sono uscito dal portico il vento per poco non mi ha portato via.

Le nubi bianche sul Lick Linnhe turbinavano precipitando dalle vette dei monti e in lontananza, e proprio in direzione del castello, nuvole di pece mandavano lampi e tuoni come se il vecchio Ben [Nevis] dovesse dire la sua su quanto stavo facendo. Gli abbaini spioventi della mia casa mi scrutavano con espressioni scure e maligne, tanto che sono stato felice di allontanarmi.

Ho camminato sino al centro di Fort William con i rami che si staccavano dalle piante e che sembravano giocare al bersaglio con la mia sagoma che arrancava controvento. In centro un tornado ha scoperchiato i tetti e le tegole mi sono piombate addosso come saette scagliate da Zeus. Ho preso la statale, ho superato il ponte che porta a Mallaig e sono arrivato al castello. La casa del vecchio custode sembrava appena attaccata da Robert The Bruce in persona [è il pretendente al trono di Scozia che nel 1308 bruciò il castello]. Il tetto si era schiantato sulla struttura, aveva divelto i piani, aveva fatto esplodere i vetri e sfondato le pareti laterali. Lo steccato era sparpagliato e le assi erano conficcate in terra, oblique verso di me, come i pali infissi dagli arcieri per arginare le cariche della cavalleria. Ho oltrepassato la cortina e ho riattraversato il viale di tassi, che mi fissavano, immobili, invischiati in una pace innaturale mentre tutt’attorno gli alberi si piegavano e resistevano alle folate, la chioma che perdeva pezzi a ogni ululato del vento.

Sono entrato nel castello e per un istante mi è parso di rivedere gli attimi finali di una tragedia compiuta secoli or sono. Ho visto i soldati che saccheggiavano e che appiccavano il fuoco, ho visto le donne tirate per i capelli come trofei e i bambini che urlavano sui corpi dei genitori uccisi. Ma è stato un istante solo e credo che sia imputabile alla suggestione, e non all’amuleto. Ho attraversato il cortile d’armi, immerso in un silenzio snervante, sono arrivato alla postierla e ho gettato l’amuleto dove l’avevo trovato, accanto a ciò che rimaneva del pontile, senza toccarlo. Un tuono simile al ruggito di una fiera in lontananza ha suggellato il gesto. Stavo per andarmene quando ho visto le acque del fiume agitarsi. Dopo qualche secondo la terra ha sussultato, come se avesse voluto rigettare il monile. Non ho atteso ma sono sicuro che sia successo qualcosa, perché ho sentito rumori, o piuttosto versi, o ancora voci, ma nulla che avesse qualcosa di umano e che potessi descriverti in modo preciso.

Sono scappato, ho corso come non credevo possibile al decrepito corpo di questo scozzese, e mi sono fermato soltanto in piazza, dove autocisterne dei pompieri, volanti della polizia e ambulanze si accalcavano per prestare i soccorsi a chi era rimasto ferito da tegole, camini e finestre cadute. McCartney era aperto e ho preso una bottiglia di Oban invecchiato 24 anni. L’ho scolata mentre tornavo a casa; ho gettato la bottiglia in giardino e mi sono coricato sul dondolo. Quando mi sono svegliato era metà pomeriggio, mi sono fatto due uova al tegamino con della pancetta e poi mi sono scolato un’altra bottiglia di Oban (12 anni stavolta) a letto, con il televisore acceso.

Dev’essere stata mezzanotte quando i fumi dell’alcol si sono dissolti e mi sono svegliato. Ho spento il televisore, mi sono rigirato nel letto e devo aver fatto rotolare la bottiglia per terra. Devo aver bestemmiato, ancora mezzo ubriaco, mentre mi avvolgevo nelle lenzuola come un bruco nel bozzolo, poi ho sentito un rumore dal piano di sopra. Sembrava una porta che sbatteva. Se ero ubriaco, dopo quel rumore non lo ero più.

Ho pregato di aver lasciato una finestra aperta.

Ho ricordato che lascio le finestre aperte al primo piano soltanto dopo che i miei ospiti (quelli umani) se ne sono andati e mai la notte. La paura è scoccata come una frusta quando ho sentito passi soffusi, sulla moquette. Le scale hanno preso a scricchiolare e il trepestio è tornato a farsi sentire sempre più vicino. Prima che riuscissi a capire dove l’intruso potesse essere, il sangue mi si è ghiacciato nelle vene per il rumore di un artiglio che grattava sul muro.

La porta della mia camera si è aperta cigolando.

L’intruso è entrato, nel buio totale, nel silenzio totale. I suoi passi sulla moquette erano come le zampate di un mammut sull’erba soffice di un pascolo.

Non ho respirato per un tempo che non saprei definire. Forse sono stato zitto, immobile e senza respirare per ore. Poi il letto ha sussultato, si è impennato, mi ha ribaltato sulla moquette e mi è ricaduto sopra, dalla parte della testiera. Ho sentito un sogghigno, uno stridere di denti affilati, poi sono stato ingoiato dal silenzio, mi sono raggomitolato come un bambino e ho atteso, per ore, che accadesse qualcosa che non è accaduta e devo aver ceduto al sonno verso l’alba, stremato dalla paura.

Quando mi sono svegliato, sorpreso dalla luce solare che filtrava dalle tende, mi sono ritrovato al centro del letto, coricato come se il dramma che avevo vissuto fosse stato soltanto un brutto sogno. Mi sono alzato felice, come non accadeva da giorni. Il folletto (come lo chiami tu) non aveva rovesciato alcun letto, le pareti non erano segnate dai suoi spaventosi artigli e il delirio che mi aveva assalito pareva soltanto un incubo, oppure il prodotto della immaginazione di un vecchio, provato e ubriaco. Sono corso nello studio e piangevo per la felicità; ho acceso il PC per scriverti che tutto era finito nel migliore dei modi e che le tue intuizioni mi avevano salvato la vita.

È stato quando ho aperto la tenda e il sole ha irrorato la stanza che ho visto quello scintillio bronzeo e malvagio sulla scrivania, sopra la pila di vecchi quotidiani: l’amuleto era tornato da me. Appena avrò terminato questa mail uscirò a comprare altra carne, molta carne, prenderò i migliori tagli delle migliori vacche delle highlands.

Dobbiamo convivere con i nostri incubi, non possiamo cacciarli.

lunedì 7 giugno 2010

ParmaFantasy 2010

Siamo giunti alla terza edizione di Parmafantasy. Alla prima ho presentato "Il Sigillo del vento"; alla seconda ero allo stand Asengard. E adesso?
Adesso vediamo... dunque... sabato 12 alle ore 17 farò da relatore agli autori Francesca Angelinelli e Giuseppe Pasquali al convegno "Il fantasy nel Terzo Millennio tra contaminazioni varie" mentre domenica 13 alle ore 11 farò da relatore a Robin Hobb.

venerdì 4 giugno 2010

Mail da un amico V

[…] Avrei dovuto darti ascolto. Credevo di avere il controllo su di lui ma mi sbagliavo. La notte del 28 maggio ho sentito Warren [il vicino di Donald] che urlava. Si è trattato di una serie di grida improvvise e ravvicinate che ha buttato giù dal letto tutto il vicinato: le sue urla sono via via diminuite di intensità, come se qualcuno gli stesse succhiando la forza. Credo che tutta Fort William si sia svegliata, ma nessuno ha osato mettere il naso fuori dalla porta finché la voce di Warren non ci ha abbandonati, affogando in un limaccioso silenzio. A quel punto mi sono fiondato in giardino con una torcia elettrica, la pelle d’oca e i peli ritti come stuzzicadenti [il paragone è mio, in Scozia non usano gli stuzzicadenti]. Quando puntai la torcia verso la casa del mio vicino, vidi sua moglie uscire sul portico, gridare e svenire: era avvolta dal fascio di luce del salotto, l’occhio di un faro che scrutava nelle tenebre, indossava una vestaglia bianca e si è afflosciata a terra come i lenzuoli quando il vento li strappa dagli stenditoi.

Ho mosso la torcia illuminando tutto e niente sino a quando non ho visto quel che rimaneva di Warren. Era vicino a un bel cespuglio di rose rosse; ed era vicino al dondolo di vimini; e sul vialetto, sulle scale della veranda, sulle pareti della casa. Del mio vicino non rimanevano che bianchi cilindri spolpati e scheggiati da denti piccoli, durissimi e voraci; la mattina successiva la polizia ha scoperto che l’assassino aveva usato la scatola cranica come pitale.

Forse non gli ho dato abbastanza da mangiare al mio ospite. O forse non avrei dovuto lasciare accanto alla ciotola dell’acqua un bicchierino di Oban invecchiato dodici anni. Oppure l’intruso sta cercando di sistemare i miei problemi. Tutti i miei problemi.

God Saves The Queen [questo non l’ho tradotto].

So che hai una fervida fantasia e che addirittura conosci meglio di me le leggende delle mie terre: se hai altri suggerimenti da darmi, ebbene questo è il momento per farli.

lunedì 31 maggio 2010

Mail da un amico IV

[23 maggio…] ti preoccupi troppo per questo povero scozzese rimbambito. La tua ultima mail mi ha trasmesso momenti alterni di apprensione e di fiducia ma ho concluso che nessuno dei provvedimenti che mi hai suggerito è necessario. Credo che il mio ospite [è sparito l’aggettivo sgradito] stia bene dove sta, in fondo costa meno di una donna delle pulizie ed è più efficiente. Ti sembrerà strano ma ti giuro che non avevo collegato il suo arrivo con il ritrovamento del monile e, dopo aver reperito in biblioteca e letto quel capitolo dei Mabinogi che mi hai suggerito, sono giunto alla tua medesima conclusione; tuttavia sarò estremamente franco: non mi disfarò del medaglione poiché non condivido il tuo decadente disfattismo continentale e sono convinto di riuscire a controllare il mio ospite (anche la rabbia per quello che ha fatto a Nessie è sbollita, in fondo quanto successo è colpa mia, che non sono stato capace di comprendere il mio cane e l’intruso).

A proposito, non gli ho ancora dato un nome. Credo che sarebbe opportuno dopo il rapporto che abbiamo instaurato.

So che farai delle rimostranze circa la mia decisione di tenerlo (e mi aspetto una mail infuocata da parte tua) ma nei prossimi giorni proverò ad addestrarlo. Userò il sistema che ho applicato nell’istruzione di Nessie; il fatto che non riesca a vedere il mio ospite è un grosso limite ma voglio provare a comunicare e sto ripassando l’antico dialetto gaelico che si parlava da queste parti. Se riesco a pilotare in modo opportuno i suoi poteri, potrei affidargli compiti più complessi che pulire una stanza.

Prima di maledire i miei malsani e perversi deliri, considera che posso dialogare con un essere millenario: sei uno scrittore, dannazione! Il mio ospite sa scrivere ed è probabile che avrà un sacco di storie da raccontare (non dirmi che a questo non avevi pensato). Per ora ho disposto in salotto e nelle camere alcune piccoli compiti per lui, voglio vedere se li porterà a termine. Anzi, proprio ora, e nella stanza dove avevate dormito voi, cominciano i rumori.

Ti terrò informato, lo prometto.

mercoledì 26 maggio 2010

Lettera da un amico - parte III

[…] mi perdonerai il lungo silenzio ma nelle Regie Galere di Sua Maestà non hanno ancora attivato il wi-fi. Hai letto bene caro amico, è lì che ho passato le ultime due settimane. Il 7 maggio mi hanno messo in gattabuia e il giorno successivo mi hanno trasferito a Glasgow, nel carcere psichiatrico. Come avrai intuito leggendo la presente, o hanno attivato il wi-fi, oppure mi hanno rilasciato. Per mia fortuna è la seconda.

Facciamo un salto nel passato e torniamo al 5 maggio e allo scricchiolio delle assi, al primo piano: in quel frangente ho smesso di scriverti, ho preso la spada e sono uscito per vendicare Nessie. Mi sono mosso nel silenzio più totale, senza accendere la luce, e solo adesso mi rendo conto di come sia stato ingenuo perché il mio sgradito ospite non ha mai avuto bisogno della luce per agire. Quando sono arrivato di fronte alla scala e l’ho sentita scricchiolare, ho atteso perché il mio sgradito ospite stava scendendo.

Tremavo, anzi, me la stavo proprio facendo sotto.

I gradini cigolavano uno a uno e sentivo i passi che indugiavano sulla moquette verde; a ogni passo del mio sgradito ospite cambiavo impugnatura alla spada, che pareva animata di vita propria. Quando l’intruso [Donald ha sempre usato “it” ma ho preferito sostituire il sostantivo con un altro più appropriato] arrivò al pianerottolo avrei dovuto trovarmelo davanti ma evidentemente si fermò, perché non sentii scricchiolii per secondi interminabili. Poi il cigolio riprese ma la penombra lo nascondeva e il mio sgradito ospite deve aver fatto tre o quattro gradini quando decisi di accendere la luce per sfidarlo.

In cuor mio speravo che un disgraziato si introducesse in casa la notte e il mio dito rimase indeciso sull’interruttore mentre pensavo che avrei anche potuto scoprire un mostro. Quando la luce irrorò il corridoio, sulle scale non c’era nulla. O meglio, c’era, ma non potevo vederlo. C’era, perché ho percepito i suoi passi che si avvicinavano e poi ho sentito il suo odore. Deve essere stato quello che mi ha spinto ad attaccare. Deve essere stata la paura.

Dici di essere uno scrittore: trova un modo migliore per dire che l’intruso puzzava di melma e morte e che il suo fetore era antico. Era tipo l’afrore dei cimiteri quando i fuochi fatui si destano e danzano, era un odore di morte viscida, umida e lontana generazioni.

La spada si è incastrata nei pilastri della balaustra ma non l’ho colpito. L’odore mi è sfilato accanto senza che potessi far nulla. Ho lasciato la spada mentre quella cosa si avvicinava alle ciotole e sono rimasto pietrificato mentre il rumore di mascelle che masticavano mi ha terrorizzato al punto da farmi perdere molti dei pochi anni di vita che mi rimangono. Poi ho sentito lappare dalla scodella dell’acqua e dev’essere stato sul rutto che ne è seguito che sono svenuto.

Mi sono destato all’alba, ho spento la luce delle scale, ho recuperato la spada e ho cercato in casa tracce dell’intruso. Non ho trovato nulla, niente di niente. In compenso i pavimenti erano puliti, la cucina riordinata e in sala c’era un profumo che non sentivo da quando mia moglie faceva le pulizie. Avrei dovuto scriverti quella sera ma ho preferito attendere un giorno ancora, e così la notte tra il 5 e il 6 maggio ho posizionato altro cibo e acqua nelle ciotole che furono di Nessie e ho aspettato. L’attesa è stata tanto lunga che il sonno ha preso il sopravvento e mi sono svegliato soltanto a notte inoltrata, e per via delle sirene dell’ambulanza e della polizia che chiassavano due case dietro la mia.

Non era ancora giunta mattina quando sono stato interrogato dalla polizia; lo hanno chiamato “colloquio informale” [le virgolette sono di Donald] e mi hanno chiesto dove fossi stato quella notte, che cosa avessi fatto e se avessi notato qualcosa di strano nel vicinato. Ho detto la verità, ovvero che ero in casa a riposare, da solo, come sempre. I poliziotti mi notificarono che non avevo un alibi per la morte della strega indiana.

Ricordi la moglie di Jeffery, quella che testimoniò di avermi visto uscire armato quando l’intruso ha ucciso Nessie? A stare alle dichiarazioni di Jeffery, sua moglie è stata ammazzata mentre si era alzata per controllare un rumore in giardino. Ammazzata tuttavia non è la parola migliore per descrivere ciò che le è accaduto. E non lo farò, ovvero non racconterò ciò che le è stato fatto: sappi soltanto che la morte di Nessie dev’essere stata meno dolorosa.

Ci ho ripensato molto, mentre preparavo del macinato fresco per il mio sgradito ospite, e temevo che la polizia sospettasse di me. Ora mi è evidente come l’asettica poliziotta bionda credesse che fossi stato io a mangiare metà della moglie di Jefferey. E a tratti anch’io sospetto di me stesso: ho il terrore che una maledizione mi abbia colpito, e che la mia anima vaghi altrove mentre il mio corpo compie mostruosità.

In ogni modo, da quando l’intruso ha fatto fuori quell’impicciona antipatica, mi risulta un poco più simpatico. La notte dopo l’omicidio avevo preso dell’ottima carne per lui e sperato che sistemasse il garage, per l’occasione avevo spostato l’auto nel vialetto.

[…] Il sette mattina quattro amici della biondina hanno suonato al campanello, sono entrati gentilmente in casa e mi hanno ammanettato. In centrale la biondina ha formulato l’accusa di omicidio della strega indiana e mi hanno fornito un avvocato d’ufficio per assistermi durante l’interrogatorio.

Ho raccontato tutto quello che mi era successo e forse è questo il motivo per il quale mi hanno internato a Glasgow. Ho passato due settimane di inferno, non sono nemmeno riuscito a parlare o a vedere mio figlio. Mi hanno somministrato intrugli indegni di qualsiasi dittatura e mi hanno sottoposto a una serie esami che terrò per me in virtù del (poco) amore che nutro ancora verso il mio paese (in ogni modo ne sono uscito con le mie gambe, non come in certe prigioni del vostro paese). Durante il mio soggiorno forzato a Glasgow, ho avuto l’occasione di parlare con i preti di ogni religione, con psicologi, con cialtroni e con millantatori che vantavano addirittura di aiutarmi con le loro arti magiche (credo sia stato tutto un trucco per capire qualcosa sulla mia sanità mentale). L’ultimo che ha esaminato il mio caso era una tizio di colore con la testa rasata e gli occhialini ovali, simili ai tuoi: abbiamo fatto una bella chiacchierata la sera prima che mi rilasciassero. Era un tipo in gamba, uno con le palle, ha fatto un’analisi scientifica dei fatti che mi ha ricordato certe serie televisive […], hai presente? Ebbene, era riuscito a convincermi che fossi un assassino: sosteneva che avessi creato una sorta di simulacro sul quale avrei proiettato le mie paure e scaricato la mia rabbia repressa, negandola e trasferendola su uno sgradito ospite che soltanto la mia mente era in grado di vedere. Non ha usato proprio le parole con cui ti ho descritto la sua diagnosi, ma ti ripeto che è stato tanto convincente da farmi restare sveglio una notte intera a piangere per le mostruosità che avevo commesso: ti giuro che se avessi avuto qualcosa, qualsiasi cosa a mia disposizione, l’avrei usata per suicidarmi.

La mattina del quattordicesimo giorno di detenzione mio figlio è venuto a prendermi dopo che mi hanno rilasciato, mi ha riportato a Fort William ed è tornato a Glasgow per passare il week-end con la fidanzata. Ti chiederai come sia possibile un epilogo simile: ebbene, a quanto ho saputo, la notte del 20 maggio, il mio simulacro, o meglio l’intruso, si sarebbe intrufolato in casa della biondina, l’avrebbe divorata completamente e avrebbe lasciato le ossa ammucchiate dentro la tazza del cesso.

Ho scritto questo resoconto non appena ho potuto ma ora dovrai perdonarmi perché i negozi chiuderanno a breve e devo comprare un bel taglio di manzo per evitare che il mio sgradito ospite torni a sfamarsi a modo suo.

mercoledì 12 maggio 2010

Lettera da un amico - parte II

[…] Ho passato la mattina del tre maggio a riflettere. Stavo coricato sulla poltrona e guardavo la pioggia scrosciante che batteva il vetro e la strada; Lock Linnhe era schiacciato da nubi di metallo che scendevano dalle montagne cariche di un freddo anormale e malvagio. È arrivata in Italia l’eruzione islandese? Qui lo stramaledetto vichingo [è il soprannome affibbiato al vulcano da Donald, o a Fort William] ha riportato l’inverno. […] Scusami se non mi sono fatto sentire prima ma quanto accaduto dopo quella mattina mi ha provato, mi ha invecchiato, mi ha divorato. Ebbene, devi sapere che non ho dato ascolto alle richieste della cosa. Dio solo sa che cosa mi sia passato per la testa quando ho preso questa decisione; resta il fatto che, invece, avrei dovuto accettarle.

Procedo con ordine o penserai che sono diventato più pazzo di quanto io stesso non creda. Nel pomeriggio del 3 maggio, tormentato dalle paure e condizionato da un tempo infame, ho seguito il tuo consiglio e sono andato alla polizia, che ha effettuato un sopralluogo. I vicini si sono riuniti fuori dalla casa, preoccupati (non per me, ci scommetto, ma dall’idea che ci fosse qualcuno tanto disperato da profanare un B&B per commettere un furto). La poliziotta che mi accompagnava aveva l’aspetto di una persona in gamba, portava una chioma di steli biondi raccolti a coda e aveva due occhi chiari e uno sguardo asettico. Ha esaminato la porta della cucina con dei guanti da chirurgo, distribuendo polvere tutt’intorno, ma non ha trovato alcuna impronta oltre le mie e credo che abbia sospettato che sia stato io a scorticare la porta.

Avrei fatto bene a non ascoltarti e a non rivolgermi alla polizia: hai una visione del mondo anglosassone un po’ distorta dalle pietose notizie che mandi dall’Italia. Anche qui le forze dell’ordine non fanno i salti di gioia per aiutare i contribuenti e rappresentano una casta. Comunque, prima che la poliziotta se ne andasse, le ho chiesto come fosse possibile che qualcuno fosse entrato in casa senza rompere una finestra o sfondare una porta. Lei mi ha chiesto di chiudere l’uscio, l’ha aperto infilando una carta di credito tra lo stipite e l’uscio in corrispondenza della serratura e mi ha confessato che tutti i B&B senza serrature blindate si aprono allo stesso modo. Si è congedata dicendomi che mi avrebbe fatto sapere e mi ha consigliato di chiamare il comando se avessi notato stranezze. Non avevo intenzione di farlo e pensavo che se avessi lasciato trascorrere abbastanza tempo, le acque si sarebbero calmate: non immaginavo che avrei rivisto i lampeggianti così presto.

Dopo che i vicini più curiosi mi hanno invaso la casa per vedere cosa ci fosse di terribile in cucina se ne sono andati inquieti come bambini dopo una storia di fantasmi. Avevo pensato di passare la notte nell’hotel che sta sopra il negozio di McCartney, ma non me la sentivo di abbandonare la casa dove ho passato metà della mia vita e affrontare tutti quelli che, dal giorno dopo, mi avrebbero preso per un pazzo che distrugge le porte e scappa dalla propria ombra.

Ha piovuto fino a sera e, con buona pace dei reumatismi, sono andato a letto a un orario impossibile per uno scozzese. Verso mezzanotte ho spento le luci della mia camera ma Nessie ha cominciato a ululare e ha fatto il giro della casa per abbaiare sotto la mia finestra. Dalla casa non proveniva alcun rumore, allora ho preso il coraggio a due mani e la spada, sono uscito, ho richiamato il cane e l’ho legato con la catena alla cuccia per impedire che mi tenesse sveglio (o che scappasse sotto la pioggia battente). Quando sono tornato a letto, Nessie abbaiava ancora, poi a un tratto ha cominciato a gagnolare e infine se ne è stata zitta. Mi sono sentito sollevato ma la notte è stata pervasa da terribili incubi (che purtroppo, o per fortuna, non ricordo).

La mattina del 4 maggio mi sono svegliato con la sirena di un’auto della polizia. L’agente che aveva effettuato il sopralluogo ieri mi ha sorpreso in vestaglia: aveva una faccia lunga, scura e mi avrebbe di sicuro interrogato se, prima che parlasse, non avessi visto una strisciata rossa sulle assi del pavimento del portico e fossi svenuto.

Quello che segue è il breve racconto che sono riuscito a mettere insieme nel pomeriggio, quando mi sono dimesso firmando il firmabile e ho interrogato i vicini e recuperato il verbale della polizia.

Stamattina Warren [il vicino con il B&B] ha visto il sangue e il cadavere sulla veranda e ha chiamato la polizia che, ovviamente, ha fatto qualche domanda ai miei vicini impiccioni [Donald abita in un quartiere dove vige la “Neighbourhood watch”: abitanti che controllano il vicinato e si rivolgono alla polizia qualora accadano fatti sospetti] e pare che quella strega indiana che ha sposato Jeffery abbia detto che ieri notte mi aggiravo in giardino con una spada, poco prima della morte di Nessie.

Ora starai pensando che quello che ti ho scritto è il delirio di un povero scozzese che sta varcando la soglia della follia. L’ho sospettato anch’io, a lungo seduto sul dondolo in veranda, quando guardavo i segni del sangue sulle assi e il posto dove è stata macellata Nessie: ho pensato che l’improvvisa solitudine dopo la moglie di Margareth mi avesse scosso al punto da procurarmi le allucinazioni e che una strana forma di sonnambulismo (mai avuta prima) avesse fatto il resto. Purtroppo le cose non stanno come immaginano la polizia e i miei vicini, e non dovrò attendere il responso dei medici che stanno analizzando le mie feci e le mie urine per capire che non sono stato io a macellare e divorare il mio cane.

Ho comprato della carne, bella, succosa, e ho riempito la ciotola che fu di Nessie, in salotto; ho rimediato anche delle tagliole, e le ho messe sulle soglie di tutte le camere, poi ho preso la spada e l’ho messa sulla scrivania, accanto al medaglione di bronzo e, per ingannare il tempo nell’attesa che il mio sgradito ospite avesse deciso di tornare, ho cominciato a scriverti la mail.

Ora vorrei dirti altro, vorrei davvero, lo giuro, ma è il 5 maggio da due minuti e sento le assi del soffitto scricchiolare. Mi perdonerai se interrompo il resoconto ma è giunto il momento di vendicare Nessie.


giovedì 6 maggio 2010

Mail da un amico

Martedì non sono andato a giocare a calcetto e, per la prima volta da anni, ho saltato l’appuntamento. Avevo da tradurre la mail di un amico. Vi parlerò di lui cercando di essere il più breve possibile perché ciò che mi preme pubblicare sono tre sue mail.
Donald è un uomo prossimo alla settantina, è alto, con una barba corta e sbiancata, il viso tondo, gli occhi chiari e il sorriso duro di uno scozzese. Abita a Fort William in una villetta in stile vittoriano adibita a B&B, affacciata su Lock Linnhe e separata dalla strada da un giardino d’erba soffice che taglia ogni fine settimana; il tetto della villetta è spiovente, in tegole brune, e gli abbaini bianchi sono ingentiliti da tende lilla. Dal bovindo del salotto di Donald c’è una vista spettacolare sul lago: ricordo che quando ho dormito a casa sua, all’inizio di ottobre di sette anni fa, ho fatto colazione con il sole che baciava le vette del fiordo, la luce che tagliava i brulli pendii e le nubi che scendevano sino a fondersi con le acque del Linnhe (chiamato “lago” ma in realtà un braccio di mare che si insinua tra le montagne). Io e Donald abbiamo stretto amicizia quella mattina, quando i miei compagni di viaggio, Lorenzo, Paolo e Sergio, erano ancora in camera a preparare le valige da caricare sulla macchina a noleggio; dopo aver assaggiato una fetta di pane tostato con l’aspra ma ottima marmellata d’arancia, mi sono affacciato alla cucina, gli ho tenuto compagnia e abbiamo chiacchierato del più e del meno.
L’energico scozzese friggeva la pancetta, strapazzava l’uovo, controllava la cottura delle salsicce e tostava altro pane, districandosi tra i fornelli come una ballerina su un palco. È stato paziente e si è fatto quattro risate con il mio inglese claudicante e maccheronico. Mi ha consigliato di visitare il castello (cosa che era pianificata prima del viaggio verso il più famoso e turistico Eilan Donan), anche se era poco più di un rudere ben tenuto e mi ha chiesto se avevamo assaggiato l’haggis e se la serata precedente fosse “andata bene”. Non ho capito che cosa intendesse con “bene”, ma quando gli ho detto che avevamo assaggiato quattro diverse birre (e un numero che non ricordavo bene di whisky), ha commentato ridendo che era “andata bene”.
Dopo la ghiotta full scottish breackfast abbiamo pagato Donald, io ho preso un biglietto da visita e gli ho dato il mio contatto e-mail. In questi anni ci siamo scritti parecchio, sono passato a trovarlo quando con Lorenzo sono tornato in Scozia e, di ritorno da Mallaig, sono transitato da Fort William (ormai quattro anni fa).
Le mail che mi ha scritto Donald sono arrivate con la stessa data e mi hanno fatto pensare a uno scherzo, poi mi ha preoccupato perché sono giorni che non replica alle mie risposte; tradurla per la pubblicazione è stato complesso, soprattutto per via della lunghezza e della mia conoscenza elementare dell’inglese ma, grazie al dizionario e a mia moglie che invece è bravissima, sono venuto a capo anche dei passaggi meno chiari. Gli errori di battitura sono miei e lo sono anche i corsivi (usati per rendere più letteraria la mail) e le parentesi quadre, usate come note.


[…] Non so perché lo racconto a te, forse perché ti diletti con la scrittura e potrai usare le mie disavventure come spunto. Il 27 aprile ha soggiornato a casa mia una coppia di turisti italiani, ho parlato loro di te ma non hanno letto i tuoi romanzi e non ti conoscono (mi sembra che il fantasy non vada molto da voi ma vi capisco, neppure a me entusiasma). Mi sono accadute cose strane, negli ultimi giorni, cose abbastanza inquietanti ma che troverai, come ho premesso, interessanti. Ma partiamo dal principio.

Dopo la visita della coppia di tuoi connazionali, l’idea del castello mi ha tormentato finché, a metà mattina, decisi di fare una passeggiata sino ai ruderi. Non ricordo quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ho passeggiato per Fort William ma vedere le saracinesche abbassate e i cartelli con le cessate attività e le case in vendita mi ha svelato un volto della mia città che non vedevo da moltissimo tempo. Non ci sono più i turisti degli anni passati e quel negozietto specializzato in souvenir del mostro di Lock Ness ha gettato la spugna. McCartney [il proprietario del negozio di whisky] è l’unico che non ha risentito della crisi ma non sono bei momenti neppure per lui. Mio figlio (che lavora a Glasgow) dice che nemmeno lì tira una bella aria. Dopo aver sfilato i disoccupati in coda davanti all’ufficio di collocamento, mi sono avviato al castello e devo ammettere che, nonostante le pessime condizioni, suscita ancora qualche sana emozione. Ho attraversato l’improbabile corridoio creato dalle due file di tassi che lo fiancheggiano sulla sinistra, ripensando che, con ogni probabilità, siamo soltanto tu ed io a dotare di un senso e a riconoscere come un viale alberato.

Al castello non sono stati fatti nuovi lavori di ristrutturazione e le sue mura sbreccate sono cadenti e penose come le hai viste sette anni fa. Eppure c’era un bel sole e nonostante i secoli di abbandono e la sola pulizia del prato e la posa dei pannelli esplicativi, il castello mantiene la sua sobria dignità. Appena entrato mi sono sentito attratto dalla torre dove il tuo amico [Paolo] perse le chiavi dell’auto (ricordo la strizza che avevi quando arrivasti a chiedermi una pila), poi sono uscito dalla postierla per affacciarmi sul fiume. È lì che ho trovato quella cosa.

Credo di aver fatto una follia a portarla a casa: a parte sottrarre un oggetto di chiaro interesse storico da un sito del National Trust, temo che le disgrazie che mi sono accadute nei giorni che seguirono siano correlate a questo ritrovamento; si tratta di un disco di metallo (bronzo probabilmente) decorato con delle celtic knot [ho tenuto il termine usato da Donald, ndt.], quei motivi ricorrenti che a te piacciono tanto e dei quali, adesso, ho una fifa tremenda. Il disco spuntava appena dal terreno fangoso, nel punto dove un tempo restava l’approdo e dove negli anni passati hanno fatto degli scavi e deve essere venuto alla luce dopo l’ultima pioggia. Quando l’ho estratto dalla sua tomba di melma, ho sentito “il Grande Vecchio borbottare alle mie spalle” [e questa è stata la traduzione più difficile, che ho capito soltanto dopo. Ho quindi lasciato l’espressione usata da Donald; in sostanza voleva dire che dal Ben Nevis, la montagna più alta della Gran Bretagna che si trova a destra del fiume, giungeva un temporale] e la cosa non mi è piaciuta affatto. Ho bagnato il medaglione nell’acqua, l’ho ripulito e l’ho asciugato con un fazzoletto, provando uno strano pizzicore mentre lo lucidavo. Ho avuto la sensazione che si fosse stabilito un legame, tra me e l’oggetto, e la cosa mi ha dato dei brutti brividi. Ho infilato il medaglione in tasca e sono tornato a casa in fretta per evitare il temporale che si è scatenato e che mi ha costretto in casa tutto il giorno.

Al mio rientro, Nessie [è il suo cane, un collie: Donald gli ha dato il nome del mostro di Lock Ness, tra l’altro una storpiatura di Lassie] si è messa a ringhiare contro di me, cosa che non aveva mai fatto in quasi dieci anni, e l’ho lasciata fuori. Ho lasciato il medaglione sulla mia scrivania e ho passato una delle mie solite tristi giornate, peggiorata da un tempo infame anche per queste parti. Nel pomeriggio mi sono fossilizzato alla televisione, in salotto, ma ho gustato anche un bel documentario che probabilmente voi italiani non vedrete mai a causa della censura: indovina di chi parlava? […]

All’ora di cena le ho riempito la ciotola con il suo pastone ma quando sono uscito sulla veranda che copre l’ingresso, Nessie è sgusciata dentro, è corsa davanti al mio studio e si è messa ad abbaiare come fosse stata indemoniata. Non sono riuscito a tranquillizzarla e ho persino faticato a trascinarla fuori. Ha rifiutato il cibo e si è messa a ringhiare verso la casa, così l’ho lasciata senza cena, sotto il portico. Stava ancora diluviando, ma la sua cuccia è ben riparata e lei [Nessie] non teme i tuoni.

Mi sono coricato verso le venti senza dare peso alle stranezze del cane ma ho passato una notte tormentata. Mi sono svegliato dal sonno un numero imprecisato di volte, mi rigiravo ma sentivo un lontano trepestio: mi sembrava che Nessie si muovesse per casa e alla fine ho sentito che finalmente mangiava e che vuotava la scodella con l’acqua. Nel dormiveglia ho sentito scricchiolare le scale e mi sono preoccupato perché il cane non è abituato a salire le scale. Mi era venuta l’idea di controllare cosa stesse combinando ma poi mi sono rigirato nel letto e ho lasciato perdere. Ripenso al fatto che forse ho fatto bene a non scoprire cosa stesse accadendo.

Già, lo avrai capito anche tu, ma io ho dovuto attendere il mattino successivo, quando ho aperto la porta di casa, per ricordarmene: Nessie aveva dormito sotto il portico. Eppure il suo pastone era finito, e la scodella con l’acqua era vuota. La porta del mio studio era aperta mentre ricordavo di averla lasciata chiusa e in un cassetto della scrivania (che non ricordavo di aver lasciato socchiuso) ho ritrovato quel paio di occhiali tondi cui tenevo tanto [me ne ha parlato in una vecchia mail] e che credevo scomparsi. Ora potrai credermi pazzo ma sono assolutamente convinto che la porta del mio studio e il cassetto fossero chiusi, che Nessie non sia potuta entrare e che quei dannati occhiali non fossero lì.

Ho passato la mattina del 28 a rivoltare la casa come un calzino ma senza sapere bene cosa stessi cercando. Nessie mi ha seguito e si è messa a ringhiare soltanto quando sono entrato nello studio; ho chiuso la porta ma ha cominciato ad abbaiare e a grattare con le unghie contro l’uscio. Le ho urlato di stare buona ma non mi dava ascolto, così le ho messo un guinzaglio e l’ho portata fuori.

Il cielo turchese delle highland era chiazzato da nubi grasse e cangianti e puzzava di pioggia.

Ho fatto una lunga passeggiata e sono rientrato che era ormai sera. Di clienti non ce ne era nemmeno l’ombra e anche il mio vicino (che ha una casa molto più accogliente della mia) non vede un turista da giorni. Mi sono messo il cuore in pace e ho lasciato ancora una volta Nessie, inquieta più che mani, sotto il portico, con le sue ciotole.

La seconda notte dopo il ritrovamento del monile è stata intensa. A un tratto mi hanno svegliato gli ululati di Nessie, poi ha smesso e ho ripreso sonno, poi ho le scale scricchiolare, le porte cigolare e una addirittura sbattere. Mi sono alzato, terrorizzato dall’idea che potessero essere i ladri e ho fatto un giro della casa, dopo aver acceso le luci ed essermi armato con la spada che ho preso nel negozio di souvenir del castello di Stirling e che tenevo sotto il letto. Non ho trovato tracce di alcun intruso e neppure segni di infrazioni. Ti assicuro che ho avuto paura, ormai ho una certa età e il fatto che molti giovani siano senza stipendio non giova alla fiducia che ripongo nel prossimo. Sono tornato a letto, ho chiuso a chiave la porta della camera ma sono stato disturbato da altri rumori sospetti ai quali non ho dato peso: ero nel dormiveglia e devo aver pensato ad allucinazioni, oppure ero troppo impaurito per controllare.

La mattina successiva ho trovato le scatole dei cereali completamente vuote [Donald teneva diverse scatole di cereali in salotto, accanto al tavolo dove serviva le colazioni agli ospiti del B&B] e la cosa mi ha preoccupato davvero. Ma avevo deciso di non dire nulla a nessuno: pensavo che dentro casa ci fosse un roditore, e la cosa poteva spiegare molto di quanto era accaduto.

Ho passato mezza giornata in giro per la città a cercare trappole per topi e l’altra metà a sistemarle nei punti cruciali della casa. Prima di andare a dormire ho chiuso a chiave la porta della cucina, dove avevo ammucchiato anche i cereali e i pacchi che tenevo nel box.

[Questa era la seconda mail] [...] La notte è stata travagliata da un incubo di cui ricordo soltanto che rasentava la follia. Sono stato svegliato come al solito da strani rumori e dal cigolio di una porta ma ancora una volta non ho osato uscire dalla mia camera. Stamattina ho trovato alcune scatole di biscotti aperti e il succo d’arancia finito. Dimmi, tu conosci dei topi capaci di girare la chiave nella toppa per entrare in cucina? Io no. E non voglio conoscerli.

Durante la giornata ne sono successe di tutti i colori. Ieri notte avevo chiuso ancora a chiave la cucina ma avevo tenuto la chiave con me; i rumori sono aumentati e così i latrati inquietanti di Nessie. Verso le tre sono saltato sul letto con tutti i peli ritti per la paura: qualcuno o qualcosa cercava di abbattere la porta della cucina. Sono stato fuori casa tutto il giorno: al comando di polizia ho chiesto se ci fossero denunce di furti nel mio quartiere ma non se sono state fatte. Ho fatto la spesa al centro commerciale e al mio ritorno temevo di dover tornare a dormire. Ho addirittura pensato di chiamare un amico a passare la notte da me ma non ho avuto il coraggio di scoprire di avere allucinazioni o di essere impazzito.

[...] Nelle due notti successive i rumori dell’assedio si sono ripetuti e io ti giuro che quando ieri mi sono svegliato per controllare, non ho sorpreso armigeri inglesi e non ho trovato arieti in giro per la casa [credo che Donald abbia usato uno sprezzante paragone oppure un modo di dire delle sue zone], il che mi ha preoccupato più che trovarne, poiché dopo un poco i rumori sono ricominciati. Ma la cosa più tremenda che ho da raccontarti non è l’improvvisa possessione della mia casa da parte di fantasmi affamati perché di spettri non si tratta.

[Questa mail era datata 3 maggio] […] Stamattina, appena svegliato dopo una notte di nuovi assedi culminati col rumore raccapricciante di qualcosa che grattava (e che ho attribuito erroneamente a Nessie che si appoggiava alla porta per entrare in casa), ho perso i sensi per molto tempo. Quando mi sono rialzato avevo un bernoccolo e c’è mancato davvero poco che svenissi una seconda volta dopo aver visto la porta della cucina. Fuori Nessie ululava e si era scatenato uno dei più brutti temporali che Fort William ricordi. Sono corso nel mio studio, mi sono chiuso dentro, ho liberato la scrivania spostando i libri, il medaglione e le scartoffie e ho aperto il portatile per fare ciò che forse avrei dovuto fare prima. Ho scritto questa terza mail con le mani che tremavano, correggendola e ricorreggendola per darti più particolari possibili.

Sulla porta di legno della cucina c’era una frase, scritta in basso, come da un bambino, ma era incisa da artigli che non saprei attribuire ad alcun essere vivente, e non era inglese la lingua, era gaelico. La frase diceva più o meno, “ora voglio sangue”.

lunedì 22 marzo 2010

Piccoli passi

Il Trigillo è a 720.000 battute, e sono a 2/3 circa della stesura. Inizialmente volevo dividere il lavoro in 3 parti, come il Vento e la Terra, poi mi sono reso conto di come questo avrebbe comportato una sproporzione tra la parte settima (490.000 battute) e le altre: non posso arrivare al 1.500.000 battute del Vento (il mio stile si è asciugato: nella seconda stesura della parte 7 ho eliminato 25.000 battute senza toglier nulla ai fatti), pensavo di restare sul 1.100.000, come la Terra. Questo comporta due parti e non tre, organizzate in modo differente ai due precedenti titoli, ovvero non più capitoli alternati con vicende parallele ma due parti focalizzate su eventi paralleli che si intrecciano nel finale.
La parte 7 è virtualmente terminata, ho fatto la seconda stesura e ora verrà stampata e corretta nonché letta da mia moglie, che probabilmente censurerà alcune scene troppo violente o erotiche (e mi costringerà a una terza stesura, parallela forse alla seconda stesura della parte ottava).
Perdonate l'apparizione fugace, ma devo dare l'omogeneizzato ad Alessio...

lunedì 22 febbraio 2010

Benvenuti a Castel Brora

Approfitto di un momento di riflessione fatta durante la preparazione di uno scenario del Trigillo per condividere con tutti i miei lettori (ma anche con i semplici curiosi), un aspetto dei lavori che mi sono trovato ad affrontare nei giorni passati.
Una corposa parte della narrazione della Parte VIII del Trigillo si svolgerà in una località situata sopra Antioch, nelle terre del Regno di Alesia: Castel Brora.
Sono (come al solito) partito in quarta con la descrizione del contesto geografico e quindi del mastio del castello e degli edifici di contorno sino al punto in cui, approfondendo descrizioni e narrazione, mi sono trovato a dover rileggere i vecchi pezzi a consultare l'immagine mentale che mi ero fatto della "location", trovando nei vari pezzi, scritti a distanza di tempo, alcune imprecisioni. La prima cosa che ho pensato è che avrei dovuto fare prima uno schema, una
mappa, un disegno, o qualcosa per definire con precisione Castel Brora, senza confidare soltanto nelle descrizioni fatte a parola. Nel delirio degli appunti mi sono ricordato che alla soglia delle scuole superiori, non me la cavavo male con il disegno. Ho preso carta e penna e ho cominciato a disegnare la "location" partendo dalle descrizioni fatte.
Ecco la piantina:


Castel Brora è un castello motta-recinto (che in italiano fa abbastanza schifo, molto meglio il termine inglese, motte-and-bailey). Gli edifici di servizio sono all'interno del recinto (bailey) situato a fianco della motta, dove sorge il castello vero e proprio. Il castello è una casa-torre, un mastio dalla pianta quadrata, in muratura, costruito alla sommità di una collina rotonda e artificiale circondata da una palizzata. Il mastio ha un tetto spiovente e un cammino di ronda con merli in aggetto, retti da beccatelli; una torre tonda resta su un angolo della struttura e contiene le scale a chiocciola che collegano i piani. Nel disegno non si vede in quanto è un'aggiunta successiva (a quando "buona la prima"?) ma l'entrata del castello è sul lato opposto al barbacane d'entrata alla motta, al primo piano (vi si accede attraverso una scala di legno retrattile in caso di assedio).
Sui muri del mastio non appaiono finestre ma feritoie dalla forma a croce (balestriere per la precisione) dalle quali gli abitanti si difendono e danno luce alle stanze. La palizzata della motta è interrotta da una torre che ha funzioni di barbacane e dal quale scendono scalini che conducono a una passerella che sta sul fossato (asciutto) che separa la motta dagli edifici del recinto (nel disegno tridimensionale c'è una imprecisione perché avevo messo il barbacane in basso con un secondo ponte levatoio). Perdonatemi se non ho disegnato la pianta dei piani del mastio ma ne ho fin troppe sui libri specialistici e non ne ho sentita l'esigenza (c'è giusto il mastio di un castello irlandese che fa al caso mio...).
Questa sarebbe la vista prospettica di Castel Brora:


Il villaggio contenuto nel recinto è circondato da una palizzata e da un fossato riempito d'acqua deviando il fiume; un barbacane di legno con ponte levatoio protegge la struttura in caso di assedio. Le costruzioni in muratura con tetto di scandole sono: il tempio (raffigurato semplicisticamente come una chiesa), le stalle (l'edificio con archi), la casa del siniscalco, un pozzo, la mascalcia e la locanda.
Le costruzioni tonde e quelle ellittiche sono capanne e hanno il tetto di paglia oppure di fuscelli. Da notare che tali edifici non sono provvisti di camino: non è un errore, nelle costruzioni della servitù il fumo usce filtrando da tutto il tetto, e non vi sono nemmeno fori (la concentrazione del fumo in un buco porterebbe la paglia o i fuscelli a una temperatura tale da bruciarli).
Ovviamente la mappa di Castel Brora è suscettibile di cambiamenti (in corso d'opera, di seconda stesura, di editing), tuttavia ho pensato che fosse una buona idea mettere al corrente i lettori delle problematiche che si incontrano nella stesura di una storia (in quanti conoscevano la chicca del tetto chiuso?).
Ora una domanda sorge spontanea. Cosa succederà e quali saranno i protagonisti delle vidende di Castel Brora?

lunedì 15 febbraio 2010

Welcome to new life

E' un po' che non posto e me ne scuso con i lettori che ogni tanto balzano sul blog e non lo trovano aggiornato. Sto lavorando duro, su tutti i fronti. Talmente duro che dal primo marzo comincio qualche mese di "paternità". Già, avete letto bene, non potendo mia moglie usufruire del periodo di congedo parentale, starò io a casa a fare il "mammo" a quel ciccione di mio figlio che diventa ogni giorno più grande e vorace.
A casa avrò tempo per scrivere di più? Probabilmente sì perché oltre ai brevi riposini del piccino avrò per me tutto il pomeriggio (ore e ore di scrittura!).
La prima delle tre parti in cui si dividerà il Trigillo è COMPLETATA. Non dovrei fare aggiunte corpose, dovrei soltanto affaccendarmi in una seconda stesura, ma più avanti.
Il Crepuscolo degli Eccelsi (i vampiri secondo me) sta decantando ed è tra le grinfie di altri voraci lettori che mi faranno sapere.
Ho idee per numerosi progetti, un nuovo fantasy autoconclusivo, uno ambientato nell'età della pietra, un lupo mannaro (o qualosa del genere) sull'appennino nel medioevo, e poi ho paura che dovrò rivedere tutto quanto già scritto per lo steam-fantasy ma ne varrà la pena.
La Tela è in fase di ristesura.
A presto.

lunedì 18 gennaio 2010

Ricominciaaaamo

Si ricomincia, piano piano.
Ieri sera ho pianificato con Marco il lavoro da fare su La tela, in modo da sistemare le debolezze che sono emerse a seguito della lettura.
Il crepuscolo degli eccelsi (romanzo sui vampiri) affronta il secondo lettore-critico, dopo le modifiche emerse in seguito ai suggerimenti della prima revisione (grazie Lazza!). Dopo questa fase farò una seconda stesura e quindi troverò un terzo lettore. Sono soddisfatto.
Veniamo al Trigillo. Il Sigillo e il Bigillo erano divisi in parti e così sarà anche per questo: la premessa per farmi dire che sto finendo la stesura della Parte VII. Stavolta ho affrontato l'intreccio in modo meno disorganizzato: mi getterò nella stesura delle parti successive alla settima dopo aver terminato la stessa. Ho deciso inoltre, grazie ai preziosi suggerimenti di chi ha fatto i sondaggi e di chi ha espresso un giudizio sui precedenti Sigilli, di non intrecciare troppo le vicende evitando dispersivi parallelismi. La Parte VII del Trigillo, pertanto, vedrà come protagonisti un paio di personaggi soltanto (e così faranno le altre) permettendo un maggiore approfondimento psicologico senza tralasciare gli altri aspetti (o almeno lo spero...).
I sondaggi sono chiusi e i personaggi più votati del Sigillo della Terra sono stati Meldor e Gorogol delle Scaglie Nere.