domenica 13 giugno 2010

Mail da un amico VI

[…] ho seguito il tuo suggerimento, con un po’ di apprensione ma l’ho seguito. E non avrei dovuto farlo.

La mattina del 30 mi sono alzato con il sorgere del sole e ho preso il medaglione. Non l’ho toccato, come avevi suggerito, e l’ho riposto in uno straccio. Mentre lo facevo, ho temuto che la casa potesse cadermi sulla testa, ma non è accaduto. Tuttavia, e non so se sia stata la mia immaginazione, ma mentre lo afferravo mi è sembrato che lo studio si rimpicciolisse e che, nonostante questo, ogni cosa divenisse più lontana, estranea. Non mi sono soffermato a indagare su questa strana sensazione, ho infilato l’impermeabile e sono uscito. O meglio, sono scappato. La porta di casa era diventata pesante e attraversare il salotto mi è costata una fatica senza precedenti. La chiave nella toppa non voleva saperne di girare e mi è venuto lo stupido dubbio che la mia casa non volesse lasciar andare il mio sgradito ospite. Quando sono uscito dal portico il vento per poco non mi ha portato via.

Le nubi bianche sul Lick Linnhe turbinavano precipitando dalle vette dei monti e in lontananza, e proprio in direzione del castello, nuvole di pece mandavano lampi e tuoni come se il vecchio Ben [Nevis] dovesse dire la sua su quanto stavo facendo. Gli abbaini spioventi della mia casa mi scrutavano con espressioni scure e maligne, tanto che sono stato felice di allontanarmi.

Ho camminato sino al centro di Fort William con i rami che si staccavano dalle piante e che sembravano giocare al bersaglio con la mia sagoma che arrancava controvento. In centro un tornado ha scoperchiato i tetti e le tegole mi sono piombate addosso come saette scagliate da Zeus. Ho preso la statale, ho superato il ponte che porta a Mallaig e sono arrivato al castello. La casa del vecchio custode sembrava appena attaccata da Robert The Bruce in persona [è il pretendente al trono di Scozia che nel 1308 bruciò il castello]. Il tetto si era schiantato sulla struttura, aveva divelto i piani, aveva fatto esplodere i vetri e sfondato le pareti laterali. Lo steccato era sparpagliato e le assi erano conficcate in terra, oblique verso di me, come i pali infissi dagli arcieri per arginare le cariche della cavalleria. Ho oltrepassato la cortina e ho riattraversato il viale di tassi, che mi fissavano, immobili, invischiati in una pace innaturale mentre tutt’attorno gli alberi si piegavano e resistevano alle folate, la chioma che perdeva pezzi a ogni ululato del vento.

Sono entrato nel castello e per un istante mi è parso di rivedere gli attimi finali di una tragedia compiuta secoli or sono. Ho visto i soldati che saccheggiavano e che appiccavano il fuoco, ho visto le donne tirate per i capelli come trofei e i bambini che urlavano sui corpi dei genitori uccisi. Ma è stato un istante solo e credo che sia imputabile alla suggestione, e non all’amuleto. Ho attraversato il cortile d’armi, immerso in un silenzio snervante, sono arrivato alla postierla e ho gettato l’amuleto dove l’avevo trovato, accanto a ciò che rimaneva del pontile, senza toccarlo. Un tuono simile al ruggito di una fiera in lontananza ha suggellato il gesto. Stavo per andarmene quando ho visto le acque del fiume agitarsi. Dopo qualche secondo la terra ha sussultato, come se avesse voluto rigettare il monile. Non ho atteso ma sono sicuro che sia successo qualcosa, perché ho sentito rumori, o piuttosto versi, o ancora voci, ma nulla che avesse qualcosa di umano e che potessi descriverti in modo preciso.

Sono scappato, ho corso come non credevo possibile al decrepito corpo di questo scozzese, e mi sono fermato soltanto in piazza, dove autocisterne dei pompieri, volanti della polizia e ambulanze si accalcavano per prestare i soccorsi a chi era rimasto ferito da tegole, camini e finestre cadute. McCartney era aperto e ho preso una bottiglia di Oban invecchiato 24 anni. L’ho scolata mentre tornavo a casa; ho gettato la bottiglia in giardino e mi sono coricato sul dondolo. Quando mi sono svegliato era metà pomeriggio, mi sono fatto due uova al tegamino con della pancetta e poi mi sono scolato un’altra bottiglia di Oban (12 anni stavolta) a letto, con il televisore acceso.

Dev’essere stata mezzanotte quando i fumi dell’alcol si sono dissolti e mi sono svegliato. Ho spento il televisore, mi sono rigirato nel letto e devo aver fatto rotolare la bottiglia per terra. Devo aver bestemmiato, ancora mezzo ubriaco, mentre mi avvolgevo nelle lenzuola come un bruco nel bozzolo, poi ho sentito un rumore dal piano di sopra. Sembrava una porta che sbatteva. Se ero ubriaco, dopo quel rumore non lo ero più.

Ho pregato di aver lasciato una finestra aperta.

Ho ricordato che lascio le finestre aperte al primo piano soltanto dopo che i miei ospiti (quelli umani) se ne sono andati e mai la notte. La paura è scoccata come una frusta quando ho sentito passi soffusi, sulla moquette. Le scale hanno preso a scricchiolare e il trepestio è tornato a farsi sentire sempre più vicino. Prima che riuscissi a capire dove l’intruso potesse essere, il sangue mi si è ghiacciato nelle vene per il rumore di un artiglio che grattava sul muro.

La porta della mia camera si è aperta cigolando.

L’intruso è entrato, nel buio totale, nel silenzio totale. I suoi passi sulla moquette erano come le zampate di un mammut sull’erba soffice di un pascolo.

Non ho respirato per un tempo che non saprei definire. Forse sono stato zitto, immobile e senza respirare per ore. Poi il letto ha sussultato, si è impennato, mi ha ribaltato sulla moquette e mi è ricaduto sopra, dalla parte della testiera. Ho sentito un sogghigno, uno stridere di denti affilati, poi sono stato ingoiato dal silenzio, mi sono raggomitolato come un bambino e ho atteso, per ore, che accadesse qualcosa che non è accaduta e devo aver ceduto al sonno verso l’alba, stremato dalla paura.

Quando mi sono svegliato, sorpreso dalla luce solare che filtrava dalle tende, mi sono ritrovato al centro del letto, coricato come se il dramma che avevo vissuto fosse stato soltanto un brutto sogno. Mi sono alzato felice, come non accadeva da giorni. Il folletto (come lo chiami tu) non aveva rovesciato alcun letto, le pareti non erano segnate dai suoi spaventosi artigli e il delirio che mi aveva assalito pareva soltanto un incubo, oppure il prodotto della immaginazione di un vecchio, provato e ubriaco. Sono corso nello studio e piangevo per la felicità; ho acceso il PC per scriverti che tutto era finito nel migliore dei modi e che le tue intuizioni mi avevano salvato la vita.

È stato quando ho aperto la tenda e il sole ha irrorato la stanza che ho visto quello scintillio bronzeo e malvagio sulla scrivania, sopra la pila di vecchi quotidiani: l’amuleto era tornato da me. Appena avrò terminato questa mail uscirò a comprare altra carne, molta carne, prenderò i migliori tagli delle migliori vacche delle highlands.

Dobbiamo convivere con i nostri incubi, non possiamo cacciarli.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non per fare troppo l'impiccione, eh... ma quando ci darai qualche aggiornamento sul Trigillo? ;)

Uberto Ceretoli ha detto...

Con il Trigillo siamo a 3/4 dei lavori. Procedo a ritmo costante, una pagina circa al giorno. Spero di terminare il tutto prima di settembre. Vedremo. Non si vive di soli sigilli, comunque... ;-)