mercoledì 26 settembre 2012

Nuova linfa?

Mi accorgo che non ho il tempo di gestire un blog. Non come i miei lettori meriterebbo almeno. Allora cerco di aggiornarlo quando giungono accadimenti rilevanti. Rilevanti dal punto di vista letterario. E ce ne sono. Comincio subito con una notizia cattiva.
Asengard non pubblicherà Il Sigillo del Fuoco.
Avete letto bene. Rifiatate, come me. Il problema è di vendite, non è legato alla qualità del testo. Purtroppo il nuovo proprietario di Asengard (Il Castello Editore) non ritiene che le vendite raggiunte da Il Sigillo del Vento e Il Sigillo della Terra garantiscano per il terzo capitolo vendite sufficienti a impegnarsi nella pubblicazione. Me ne dispiace ma non posso far nulla, la decisione è presa ed era indipendente da quanto avessi scritto ne Il Sigillo di Fuoco e di come l'avessi scritto.
Il Sigillo del Fuoco però è già scritto, e da tre anni, ormai. Ho analizzato la situazione con disincanto: nessun editore accetta opere che siano la continuazione di altre già pubblicate e capisco questa scelta. Ora si tratta di capire che cosa fare con l'opera ma non per vedere pubblicata l'opera in sé ma piuttosto per consegnarla ai lettori. Quando iniziai i Sigilli è come se avessi preso un impegno: raccontare una storia, fino in fondo. E qualcuno, oltre a me, in questa avventura, ci ha creduto. Dopo Il Sigillo della Terra, dopo i commenti positivi a entrambe le opere e dopo l'enfasi di alcuni lettori che chiedevano a gran voce quando sarebbe uscito il terzo (e definitivo?) capitolo con e-mail, post e commenti su facebook, non posso lasciarli a bocca asciutta. Devo pubblicare Il Sigillo del Fuoco per schiudere tutte le porte che avevo chiuso, per mettere la parola fine alla storia. Lo meritano i miei personaggi, lo meritano i lettori.
E qui viene la prima buona notizia.
Il Sigillo del Fuoco sarà pubblicato. Come? Sono alla ricerca di sistemi onesti e fino a questo momento ho trovato:
1) ilmiolibro, di kataweb, legato poi al circuito laFeltrinelli. C'è una vetrina, c'è l'opportunità di ordinarlo da web, c'è la possibilità di ordinarlo presso le librerie Feltrinelli di tutta Italia e i miei lettori potrebbero trovarlo con facilità. Inoltre, essendo un sito con dinamiche complesse, è possibile anche che venga notato da altri lettori e che ne esca qualcosa di buono. I migliori testi vengono pubblicati da Feltrinelli. Potrebbe essere un compromesso accettabile. Ci sono però delle complicazioni burocratiche: sarei io a fare da editore e quindi devo assolvere a certi obblighi di legge come depositare delle copie e poi dovrei pagarmi il codice ISBN.
2) youcanprint; anche questo sito sembra dalle valutazioni un buon compromesso, è più a buon mercato di Feltrinelli però assolverebbe agli obblighi burocratici dell'editore in quanto, di fatto, editore, darebbe una copia epub, mobi, eccetera. L'ISBN costa meno ma non garantirebbe gli "optional" di ilmiolibro (la vetrina, eccetera).
Sto valutando, se qualcuno ha idee, suggerimenti, informazioni, è pregato di non tacere. :-)
E le altre buone notizie?
L'antologia Horror Storytelling di Watson Edizioni è in imminente uscita, trovate tutte le informazioni (poche per adesso) sul sito di Watson: all'interno della raccolta, oltrea al lavoro di tanti colleghi, c'è il mio racconto horror ma dal clima steam-fantasy Il krake di Cala na Cregie.
E non è finita: verso la fine dell'anno uscirà un'antologia sull'anolino curata da Roberto Tanzi per Battei con il mio racconto La favola degli anolini di Isabetta, ambientato nelle Val d'Enza ai tempi di Matilde di Canossa.
E ancora: sul sito di Tribuks a breve uscirà la mia opera sui vampiri La rinascita degli Eccelsi in formato digitale.
Come vedete non sono rimasto con le mani in mano.
Rimanete sintonizzati...

giovedì 20 settembre 2012

Meritocrazia. All'italiana naturalmente.

Meritocrazia.
La parola è magnifica, evocativa, ma è soprattutto abusata.
Sono in tanti, in Italia, a evocarla senza sapere che cosa sia. Intanto la meritocrazia è un regime (ma è una semplificazione, in realtà è l’ideologia, la sovrastruttura di tale regime, ma questo è un discorso per addetti ai lavori). La meritocrazia è come la democrazia, la plutocrazia, l’aristocrazia, la monarchia. Cioè, semplificando, è uno degli assetti politico-istituzionali di ciò che noi moderni chiamiamo Stato.
Questo abbaglio è tuttavia il male minore in quanto se ne è commesso uno peggiore.
Meritocrazia non è nato come termine positivo.
Chi lo ha coniato (e come dicevo prima, come termine che indicasse un regime), ovvero Michael Young, non lo ha fatto per elencarne i pregi quanto piuttosto per mettere in guardia dalle contraddizioni e dalla degenerazione del sistema stessa. Young oltre che un sociologo, era un politico del Labour Party e l’opera The Rise of Meritocracy (potremmo definirlo come il manifesto della meritocrazia) fu scritta per la Fabian Society, un movimento socialista. L’uso del termine meritocrazia rimanda quindi a una idea dispregiativa appartenente agli ambienti del socialismo riformista che intendeva scimmiottare la plutocrazia (e non è un caso che il termine sia stato coniato in un paese protestante, e anche questa considerazione è per addetti ai lavori) e dimostrare come meritocrazia non fosse altro che una sorta di "diversa plutocrazia".
Tony Blair rilasciò un'intervista dove parlava della meritocrazia del suo partito portando ad esempio un agricoltore che era diventato un membro importante del partito in virtù della propria dedizione e capacità: Blair fu bacchettato da Young con un illuminante articolo sul Guardian nel quale il sociologo spiegava l’uso improprio e positivo che ne faceva il politico (ovviamente senza sapere di cosa parlasse).
Le aziende italiane parlano di meritocrazia ma in realtà intendono Meritorietà, ovvero il principio di organizzazione sociale basato sul criterio del merito M. Lo sanno? Sanno questi illustri imprenditori come si quantifica il merito M?
Sempre nel manifesto della meritocrazia, Young espone l’utilizzo di test di comparazione delle abilità e del QI e pone l’accento sul livello di scolarizzazione S del soggetto: questi, oltre l’impegno E, sono i criteri sui quali si basa il merito e di riflesso le aspettative di carriera di un individuo.
In una gerarchia meritocratica, quindi, le persone con un’alta scolarizzazione dovrebbero occupare posizioni migliori, che sarebbero precluse a chi ha invece un livello inferiore di scolarizzazione; e ancora, per stabilire promozioni e premi a parità di scolarizzazione andrebbero fatti test di misurazione del QI per premiare chi ha più merito.
Per calcolare il merito M si dovrebbe applicare pertanto la formula M = S + QI + E, dove S è la scolarizzazione, QI il quoziente intellettivo ed E l’impegno profuso (l’impegno, attenzione: l’impegno, non il risultato).
In un'azienda che premiasse il merito come è definito dalla meritocrazia, dovremmo avere un merito M costituito dalle componente prima citate.
Vediamo S.
Se troviamo laureati che fanno lavori di diplomati e viceversa, S non discrimina.
Se le aziende non fanno test del QI per giustificare promozioni o aumenti, QI non discrimina.
Cosa rimane di M?
M = E.
Ciò il merito coincide con l’impegno? Questo vuol dire che chi si impegna meno è meno meritevole? No, qualcuno potrebbe obiettare che oltre all’impegno si debba considerare anche il risultato conseguito.
Bene, quindi M = E + G?
Ma anche questa formula di calcolo del merito è imperfetta: chi, a parità di risultato, si è impegnato meno risulterebbe meno meritevole. È così?
Oppure la formula corretta per il merito è M = G – E?
Così l’impegno sembra una condanna.
Allora M = G/E?
M = E + G/E?
O ancora M = (E + G)/E?
Insomma, se fate discorsi di questo genere (e presentate queste formule) a un capo, state sicuri che gli verrà il mal di testa.
Ma allora che cos'è la meritocrazia intesa dagli italiani? Ho fatto una sintesi. Per meritocrazia si intende che sarebbe giusto che emergessero coloro che più e meglio contribuiscono alla crescita dell’azienda dove lavorano, che raggiungono i risultati, che eccellono a tal punto da migliorare il proprio lavoro, quello altrui e la produttività dell'intera azienda.
Splendido.
Esiste già un tale principio di organizzazione e l’impiegato (operaio) più famoso del mondo che ha fatto del "dare il meglio senza accontentarsi per puntare all’eccellenza" è stato un certo Aleksej Grigor’evic Stachanov. Sì, il termine corretto per la meritocrazia all'italiana è stakanovismo (termine che, come meritocrazia, è stato tanto abusato da essere oggi usato fuori dalla sua primeva accezione).
Ma non è sempre e proprio così. Le aziende italiane intendono per meritocrazia un sistema dove chi si occupa delle promozioni fa le promozioni in base a un criterio che autoreferenzialmente ha definito "merito". Una cosa del genere si chiama arbitrarismo o, peggio, cooptazione.
Ecco come dovrebbe funzionare un sistema meritocratico per la scelta del direttore: faccio un concorso dove gli iscritti devono avere certi titoli studenteschi e una commissione valuterà le loro inclinazioni con vari test che attesteranno chi sa fare ciò che deve fare. Questa è meritocrazia.
Promuovere un programmatore capo dei programmatori perché è il più bravo a programmare non è meritocrazia.
Quest'ultimo modo di agire, tra l'altro, incappa nel micidiale Principio di Peter.
Laurence Peter, un sociologo canadese che ha studiato la cosiddetta meritocrazia americana ha notato che in ogni gerarchia l’individuo che eccelle in una mansione viene promosso a una mansione più appagante e remunerativa e che il processo di crescita di tale individuo termina quando questi raggiunge una mansione per la quale non si mostra più sufficientemente competente.
Da qui il Principio di Peter: «in a hierarchy every employee tends to rise to his level of incompetence.»
Il che significa che, con il tempo, ogni posizione della gerarchia tende a essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere e che quindi la struttura diventa inadeguata ad affrontare le sfide.
Insomma, la meritocrazia italiana ha come traguardo l’incompetenza.
Spero di non sentire più parlare di meritocrazia.