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giovedì 7 febbraio 2019

Il mio preferito

Giorni fa mi sono chiesto se tra i i romanzi che ho scritto ce ne fosse uno al quale tenevo più che agli altri. Il Sigillo del vento è stato il primo che ho pubblicato, Codex Gilgamesh quello che mi ha richiesto più studio e approfondimenti, L'ira di Demetra è stata la sfida maggiore perché mi sono confrontato con i miti greci e infine Inganno diabolico è stato quello che più a lungo ho editato con l'amico Marco Bonati e che era tra i vincitori di IoScrittore 2015. Ma non è nessuno di questi quello cui tengo di più.
Il mio preferito rimane Il crepuscolo degli Eccelsi, l'ultimo uscito (ma non l'ultimo che ho scritto). È quello che ha subito la fase di editing più spietata (e per questo ringrazio Federica Nimrodel Maccioni per il prezioso contributo) nonché quello che ha avuto la sorte più strana: dopo una breve, prima parentesi che nessuno ha mai letto, è stato pubblicato in due parti e in formato e-book e forse, un giorno, vedrà anche il cartaceo. È il romanzo che più esplora la dimensione psicologica dell'uomo e il suo rapporto con quella sociale, il tutto visto anche dai vampiri. È quello che rileggo più volentieri. Un po' distopico, un po' horror. È anche quello che ha ricevuto meno recensioni ma l'unica che è arrivata mi piace leggera e rileggerla perché ha compreso appieno il significato dell'opera. La trovate a questo indirizzo.
Se vi capita leggetela e ditemi che ne pensate. Se non volete dirmi che ne pensate perché siete timidi, leggetela e basta. Non mi offendo.
Su cosa sto lavorando adesso? Su troppa roba ma non ce la faccio a concentrarmi su in singolo progetto. Quindi ho quattro cantieri aperti (senza gli anziani a guardare e commentare). Un libro sulla fuga di Hitler in Argentina con l'amico Marco Bonati (Marco lo scrive con me, non è scappato in argentina con Hitler...), un trattato di fanta-sociologia sulla Demotivazione che ha trovato un agente letterario, un romanzo sul'Inghilterra atruriana che è a metà stesura, Codex Merrymaid che è fermo da un bel po' ma è al 75%. E poi c'è il fantasy storico Pellervo e Ilmatar: dovrebbe uscire quest'anno ma non ho ancora ricevuto il contratto. Vedremo.
Piano piano finirò tutto. Promesso.

venerdì 13 giugno 2014

Altra recensione

Mentre prosegue il mio lavoro di editing e scrittura per il progetto Infernal Beasts di Dunwich e uno spin-off di Codex che mostra l'incontro tra Jumpin' Jack e Victor von Frankenstein, ne approfitto per segnalare la recensione di Codex Gilgamesh su Le boss dei libri.
A presto

martedì 15 aprile 2014

Codex Gilgamesh a Steampunk Italia

Segnalo la recensione di Codex Gilgamesh sul sito di Steampunk Italia a questo indirizzo. Il fatto che il mio romanzo sia piaciuto anche a loro, che sono esperti nel genere, mi risulta particolarmente gratificante. Ho fatto un buon lavoro, insomma. Che aspettate a leggerlo? ;-)

giovedì 5 settembre 2013

Recensione Codex Gilgamesh

Pubblico un estratto da "La Gazzetta di Parma" del 30 agosto 2013. Un grazie a Francesca Avanzini per la recensione.

martedì 20 agosto 2013

Perché non recensisco più

Qualcuno mi chiede perché non recensisco più romanzi. Perché ho riletto le mie recensioni, ho letto molte recensioni altrui e ho studiato, facendomi un'opinione del tutto personale riguardo ai romanzi e ai commenti degli stessi. Ora vi racconto come la penso.
Parliamo innanzitutto del testo. E già qui farò una distinzione che subito sembrerà strana ma al termine della lettura apparirà chiara: distinguerò infatti tra libro e romanzo. Il libro è l'oggetto fisico, le pagine, lo scritto; il romanzo è l'esperienza generata dal libro.
Cominciamo dunque con il libro, ovvero con il testo. Un testo deve essere comprensibile, completo e coerente.
Ma, esaminando solo questi tre aspetti, ci si limita alla valutazione del codice linguistico con il quale è scritto (il cosiddetto livello denotativo). Si critica il libro. Ma il libro non è il romanzo. E non lo è perché i termini evocano immagini (mentali, legate alla capacità cognitiva del lettore) che si caricano di significati che vanno ben oltre il piano letterale e rendono più complesso il significato del testo (il cosiddetto livello connotativo).
Un romanzo dunque non si esaurisce nel proprio livello denotativo ma, a mio avviso, neppure nel suo livello connotativo. Il romanzo vero e proprio è un insieme temporale di più elementi. Vediamo se riesco a fare un'analisi come si deve di ciò che ho maturato. Ecco i momenti del romanzo, ovviamente a mia personale opinione, che costituiscono i passi dell'esperienza mentale legata alla lettura.
1) C'è un primo momento, il momento denotativo, quello durante il quale il lettore legge ciò che è scritto, ovvero le parole, il periodo, la pagina, il capitolo, il libro. Questo primo momento è soggetto alle regole del livello denotativo, ovvero all'essere comprensibile, completo e coerente.
2) Il secondo lo chiamerei momento interpretativo/cognitivo e si riferisce all'immagine mentale che il lettore ottiene dal primo momento. Riguarda proprio ciò che, quando leggiamo, immaginiamo grazie alle parole.
3) Il terzo è il momento connotativo e riguarda il significato del testo, ovvero ciò che significa l'immagine mentale che il lettore si è fatto di ciò che ha letto. Il romanzo non si esaurisce nemmeno qui, il romanzo infatti, credo che sia oltre, è al prossimo punto.
4) Il quarto lo definirei momento introiettivo/proiettivo. Riguarda ciò che il lettore vede di sé nella narrazione, ovvero come il lettore partecipa a quanto compreso del punto precedente. Il romanzo è questo e, come spero di aver mostrato, è ben diverso dal libro.
Veniamo alla recensione di un romanzo.
La maggior parte delle "critiche" di molti blog che si occupano di recensire libri si ferma all'analisi del primo momento; c'è chi l'esegue in maniera molto approfondita e "scientifica" (per quanto si possa esaminare in tale maniera un'arte, che è pertanto soggetta a metodo induttivo e non deduttivo), chi meno, ma la maggior parte si limita a ciò che ha letto, non a ciò che ha visto e a ciò che il romanzo ha comunicato. I romanzi diventano meravigliosi o ributtanti in funzione del solo libro. Un errore a mio avviso. Un errore dal quale non sono stato esente in passato.
Vediamo meglio, con l'aiuto di due frasi.
A) "Marco guarda a lungo e con astio Paolo; infine si alza velocemente dalla sedia, prende con rabbia un grosso libro e lo lancia violentemente contro di lui".
B) "Marco guata Paolo, balza dalla sedia, afferra un libro e glielo scaglia contro."
Dopo esserci fatti un'idea delle regole della scrittura, possiamo dire che la frase A) è peggiore della frase B) perché dice le stesse cose ma in modo meno immediato e più approssimativo. Possiamo però asserire che la frase A) "fa schifo"?
No, non possiamo, perché tale frase rispetta le regole del momento denotativo (perché è comprensibile, completa e coerente). Possiamo dire (nella semplificazione che le frasi siano il libro) che il libro B) è migliore del libro A). Certo, ma il romanzo A) è migliore del romanzo B)? Come ho detto prima, il romanzo non è il libro.
La lettura della frase A) e la frase B) (momento denotativo) innesca il medesimo momento interpretativo/cognitivo. Infatti, se non avvengono disturbi soggettivi a livello cognitivo (problema che non voglio affrontare perché esula dalla trattazione), che Marco si alzi velocemente oppure balzi dalla sedia, l'immagine mentale che ci facciamo della scena è la medesima. Se il momento 2) è il medesimo, saranno i medesimi i momenti 3) e 4).
Che Marco balzi o si alzi velocemente il significato della sua azione è il medesimo. Ed è il medesimo anche ciò che di noi permea l'azione: avremmo agito anche noi come lui o avremmo agito diversamente? Il momento di introiezioni/proiezione dell'azione di Marco non viene inficiato dalle parole con le quali è scritto (se, ovviamente, sono comprensibili, complete e coerenti, come è). Il romanzo è quanto c'è di noi che leggiamo in Marco, non in come è stato scritto che abbia fatto ciò che ha fatto.
Esistono quindi romanzi "brutti", "ributtanti", "illeggibili"? A mio avviso no, esistono libri "meno belli", il che è un'altra cosa.
Ma i libri sono come gli amici: non sono il contenitore esterno o la faccia, e non sono nemmeno quello che ci dicono o quello che fanno; gli amici sono ciò che di noi c'è in loro e viceversa.

giovedì 24 luglio 2008

Starship Troopers

Continuo con le mie "affascinanti" recensioni. Starship Troopers l'ho letto in un due giorni. E come non mi capitava da tempo, non ho avuto bisogno di appuntarmi alcuna parola sconosciuta: la prosa di Heinlein è agile, snella ma precisa.
Io ero un fan del film e quindi ho letto il libro ma occorre puntualizzare immediatamente che sono due cose mostruosamente diverse. Il film era un film antimilitarista per eccellenza, il libro finisce per esserlo ma non volontariamente. Il libro è scritto in prima persona e racconta l'esperienza di Rico, che firma la leva volontaria per entrare nell'esercito ed esercitare il diritto di voto e guadagnare la cittadinanza (perché soltanto chi ha ha scelto e rischiato di perdere la vita nel proteggere la società ha compreso quello spirito di unità e di gruppo necessario per amministrarla, questa la spiegazione dei personaggi al sistema politico terrestre). Il libro è per metà un buon libro di fantascienza con spunti geniali, e per metà lo sforzo dell'autore di esprimere la sua visione del mondo, delle istituzioni, della politica, della società. Pane per i miei denti, insomma.
Allora, tutto cò che riguarda la parte in cui Heinlein dipinge il suo affresco fantascientifico è meravigliosa, anche se si sofferma troppo spesso (a mio avviso) sul raccontare invece che sul mostrare qualcosa. Il finale invece, spurio di flash-back e dedicato tutto all'azione, l'ho trovato più coinvolgente. Non più bella o più meritevole, attenzione, soltanto più coinvolgente.
Veniamo invece alla filosofia militarista veicolata dal romanzo. Non conosco le idee politiche di Heinlein e non ho voglia di andarmi a cercare la sua biografia, mi interessa soltanto quel che passa con la sua opera (sono un po' troppo svogliato di questi tempi). Secondo me il militarismo di Starship Troopers fa il giro (non come nel film, volutamente autoironico): in certi punti Heinlein parte per la tangente e le prese di posizione di Rico diventano talmente estreme e grottesche da sortire l'effetto opposto. E se nel film appare evidente che il militarismo venga preso per i fondelli, il libro non è così esplicito. Da certe elucubrazioni di Rico il militarismo ne esce canzonato, ma non quanto servirebbe per capire se è una parodia o meno.
A questo punto ho formulato alcune ipotesi.
La prima è che il libro sia antimilitarista ma che Heinlein sia stato avaro con l'ironia.
L'idea l'ho abbandonata quasi subito per maturare quella che invece il libro sia militarista e Heinlein abbia veicolato quest'ideologia (oso l'utilizzo di questo termine) talmente bene che a tratti mostra tutti i propri limiti.
A questo punto ho formulato il mio personale giudizio: il libro è militarista ma sortisce l'effetto contrario perché l'ideologia che veicola è determinata a un contesto fantascientifico che ha poco o nulla a che vedere con la realtà. E' come La città del sole di Tommaso Campanella: descrive una società perfetta e nella sua perfezione, rendendola però distante ed irrealizzabile proprio in virtù di una perfezione che non è umanamente raggiungibile.
Nella Federazione tratteggiata da Heinlein, i militari hanno il compito di proteggere i civili che lavorano e producono ma che non hanno diritto di voto, i militari combattono ed amministrano la vita pubblica e rivolte non sono possibili perché gli unici che avrebbero preparazione militare fanno parte dell'esercito e hanno già diritto di voto. Il condizionamento sociale è di tipo pavloviano e i cittadini hanno capito che ubbidire è saggio ( purtroppo, e non sono io a dirlo, nella realtà c'è altro oltre al nesso azione-reazione).
Insomma se era un manifesto al militarismo non è riuscito proprio bene, a mio modesto avviso. Rimane, e per una buona metà, un capolavoro della fantascienza.
Alla prossima

lunedì 7 luglio 2008

La rocca dei silenzi

Ammonthàd, La rocca dei Silenzi, un luogo dove sono custodi immensi tesori da orde di demoni inferociti. Le prime domande e i primi dubbi che mi sono sorti spontanei sulla rocca sono stati sciolti dalla lettura, c'è un perché alle cose. Thal Dòm dovrebbe essere il protagonista (e dico dovrebbe perché in seguito smentirò questa cosa) della vicenda. E' un mago rovinato da una spedizione ad Ammonthad che, convocato dalla Torre di Dòthrom per una nuova spedizione verso la Rocca dei Silenzi viene a scoprire gli intrighi e le verità che nemmeno immaginava gratvitare non solo intorno alla Rocca ma anche intorno alla Torre, riferimento e scuola di magia per i Regni di tutto il mondo.
Viene organizzata una spedizione (suicida) che dovrà scoprire il punto debole dei demoni affinché una seconda spedizione possa affrontarli con successo. Vengono inviti messi in tutte le terre per reclutare i migliori mercenari per organizzare la missione (suicida sempre, che avrebbe garantito alla spedizione successiva il buon esito).
Subito mi sono sorti molteplici dubbi. Perché mercenari e non reparti organizzati, perché affrontare i demoni con attacchi a macchia di leopardo e non con una bella linea di opliti? Alla fine ho compreso tutto. E in effetti, lo ribadisco ancora, occorre fidarsi dell'autore.
Andrea d'Angelo scrive un fantasy strano. Già, è strano perché non ho mai letto un libro con dei personaggi tanto viscidi e scostanti. Tutti, non solo gli antagonisti! Ad essere onesti uno o due se ne salvano (ma per sbaglio, credo). C'è comunque un motivo se i personaggi sono tutti odiosi, a mio avviso, ed è un motivo letterario: la vera protagonista della vicenda è la vicenda stessa. E il focus sui fatti e sul loro significato poteva essere dato soltanto evitando personaggi che consentissero immedesimazione. Rimane il fatto che non affezionarsi ai personaggi crei un po' di fastidio.
Poco belle alcune scelte linguistiche.
"Fruitori di magia" l'ho trovato scomodo come sinonimo di mago/stregone, anche se corretto, poteva essere usato nei dialoghi e non nella narrazione per dare maggior spessore ai maghi.
Ascia "bilama" è linguisticamente corretto, anche se l'aggettivo è usato più per le spade che per le asce il cui aggettivo specifico è "bipenne".
Le due peculiarità linguistiche non rovinano la lettura, sono dettagli. Brooks chiama "gnomi" quelli che alla descrizione appaiono come perfetti "goblin", se vuole chiamarli in modo diverso ne prendo atto, se storco la bocca sono affari miei.
Perdonatemi se divago un attimo: ho letto numerosi commenti e post sull'impiego e sulla contestualizzazione dei termini nei fantasy. Che deve fare un autore, scrivere le battute in elfico per gli elfi (e fornire la traduzione in appendice)? Può usare nella narrazione il termine "machiavellico"? Può usare "pantagruelico"? Può usare "psicologico"? Può usare "giunonico", "adone", "gioviale", "marziale" anche se derivano dal classicismo greco? Insomma se un autore deve scrivere in italiano i termini sono quelli dell'italiano! Arrendiamoci sui vocaboli della narrazione, quel che riguarda le battute è, invece, un altro discorso: sarebbe fuori luogo un goblin che invece che "il carro di quel nano invasato è irraggiungibile" dicesse "ehi cumpa, il bolide di quel truzzo ci ha dato la paga: scheggia come un missile" (ogni volta che la rileggo però mi piace sempre di più!).
Ad effetto gli inserimenti dei numerosi (e spietati) pensieri che i personaggi pensano l'uno dell'altro anche se un gruppo composto da questi individui è davvero poco verosimile: se tutti diffidano di tutti, come può proseguire la spedizione?
Alcune situazioni poi sono paradossali e certi personaggi fanno cose assolutamente fuori dal normale. Una delle più importanti maghe della Torre di Dòthrom (che fa parte di un complotto e dovrebbe essere svezzata a tale arte) si reca in colloquio privato con una rinomata assassina esperta di veleni, nei suoi appartamenti. Senza dire a nessuno dove va, senza prendere precauzioni, da sola! La conclusione darwiniana del siparietto è logica, è l'avvenimento in sé che a mio avviso è illogico.
Altre cose non tornano: se foste un mago che deve usare molti incantesimi, affidereste la protezione della vostra vita ad un guerriero che vi vuole fare la pelle? Io soltanto se ne fossi costretto, e in ogni modo avrei un piano d'emergenza o un trucco per sopravvivere, in alternativa "muoia Sansone con tutti i filistei".
Insomma, è vero che la grande protagonista è la storia ma questo si evince anche dal fatto che gli altri protagonisti lo sono in funzione di questa e durano lo stretto necessario a svelarla.
L'epilogo rasenta il più acuto pessimismo riguardo alla "teoria dei complotti" ma mi trova assolutamente d'accordo: non poteva finire altrimenti, bravo Andrea (ti do del tu). che non ti sei lasciato prendere dal buonismo! Può non piacere ma è giusto così.
D'Angelo poi ha una scrittura evocativa e ricercata (con qualche eccesso, talvolta). Da leggere se volete qualcosa di spietato.

venerdì 4 luglio 2008

I delitti del mosaico

Inauguro con il libro di Giulio Leoni una nuova sezione del mio blog, le recensioni.
Non conosco Giulio Leoni di persona soltanto per una sfortuna, altrimenti ci saremmo visti a Mangia come scrivi, a Montechiarugolo, a maggio. Peccato, avrei discusso volentieri con lui dell'esperienza di scrivere un romanzo storico oltre che a parlarne delle sue opere appunto, a Mangia come Scrivi (dove ho letto un estratto di La crociata delle tenebre).
I delitti del mosaico parla di un omicidio avvenuto nella Firenze medievale, delitto che per la sua particolarità viene sottoposto a Dante Alighieri, persona lucida e, direi, moderna rispetto al contesto storico in cui si trova. Non svelo più nulla altrimenti andrei a fare anticipazioni pericolose.
Leoni ha una prosa scorrevole ma forte e tutta la puntualità descrittiva dei gialli (e in effetti IDDM è un giallo-storico), nonché la tensione di scoprire che cosa c'è sotto ai delitti e a chi è l'assassino. Sotto la guida di Leoni ci immergiamo completamente nell'atmosfera di Firenze, nella politica dell'epoca, nei giochi di poteri, nel conflittuale rapporto tra la Chiesa e Firenze e tra l'Alighieri e il Papa.
IDDM è intrigante e ha il pregio di una ricostruzione storica affascinante e puntuale, la cosa che mi ha stupito e che secondo me soltanto pochi sapranno apprezzare è il lavoro oscuro che c'è alla base. L'ho detto anche a Mangia come scrivi: scrivere un romanzo storico implica allo scrittore una ricerca storica senza precedenti (anch'io ci sono in mezzo con alcune opere), una fase di documentazione a 360 gradi. Leoni ha l'abilità di far convivere realtà storica con finzione narrativa senza inganni. Lo stesso Dante Alighieri assume un'umanità nuova, con i suoi pregi e difetti ed è un personaggio che lascia il segno (può piacere oppure no, ma non verrà sicuramente dimenticato), così come lascia il segno l'apparizione di uno splendido Cecco Angiolieri.
Citati i pregi passo ora a fare le pulci al romanzo. Non amo i gialli (e forse ne sto pure scrivendo uno, ma è fantasy, dai!), il romanzo mi è piaciuto ma ho trovato un difetto che mi ha fatto storcere il naso: già, perché secondo me ha il difetto di finire per una fortuita casualità! Dante si comporta come un investigatore razionale (illuminato oserei dire) eppure arriva alla soluzione del caso soltanto per una coincidenza che ha tutto l'aspetto di un escamottage letterario. L'effettiva piega degli eventi e della narrazione non l'avrebbero mai portato a scoprire il colpevole anche se i suoi sospetti erano ben indirizzati.
A parte questa considerazione rimane comunque una lettura coinvolgente e ricca di spunti. Non posso che consigliarlo anche a chi, come me, non è appassionato dei gialli.