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giovedì 20 settembre 2012

Meritocrazia. All'italiana naturalmente.

Meritocrazia.
La parola è magnifica, evocativa, ma è soprattutto abusata.
Sono in tanti, in Italia, a evocarla senza sapere che cosa sia. Intanto la meritocrazia è un regime (ma è una semplificazione, in realtà è l’ideologia, la sovrastruttura di tale regime, ma questo è un discorso per addetti ai lavori). La meritocrazia è come la democrazia, la plutocrazia, l’aristocrazia, la monarchia. Cioè, semplificando, è uno degli assetti politico-istituzionali di ciò che noi moderni chiamiamo Stato.
Questo abbaglio è tuttavia il male minore in quanto se ne è commesso uno peggiore.
Meritocrazia non è nato come termine positivo.
Chi lo ha coniato (e come dicevo prima, come termine che indicasse un regime), ovvero Michael Young, non lo ha fatto per elencarne i pregi quanto piuttosto per mettere in guardia dalle contraddizioni e dalla degenerazione del sistema stessa. Young oltre che un sociologo, era un politico del Labour Party e l’opera The Rise of Meritocracy (potremmo definirlo come il manifesto della meritocrazia) fu scritta per la Fabian Society, un movimento socialista. L’uso del termine meritocrazia rimanda quindi a una idea dispregiativa appartenente agli ambienti del socialismo riformista che intendeva scimmiottare la plutocrazia (e non è un caso che il termine sia stato coniato in un paese protestante, e anche questa considerazione è per addetti ai lavori) e dimostrare come meritocrazia non fosse altro che una sorta di "diversa plutocrazia".
Tony Blair rilasciò un'intervista dove parlava della meritocrazia del suo partito portando ad esempio un agricoltore che era diventato un membro importante del partito in virtù della propria dedizione e capacità: Blair fu bacchettato da Young con un illuminante articolo sul Guardian nel quale il sociologo spiegava l’uso improprio e positivo che ne faceva il politico (ovviamente senza sapere di cosa parlasse).
Le aziende italiane parlano di meritocrazia ma in realtà intendono Meritorietà, ovvero il principio di organizzazione sociale basato sul criterio del merito M. Lo sanno? Sanno questi illustri imprenditori come si quantifica il merito M?
Sempre nel manifesto della meritocrazia, Young espone l’utilizzo di test di comparazione delle abilità e del QI e pone l’accento sul livello di scolarizzazione S del soggetto: questi, oltre l’impegno E, sono i criteri sui quali si basa il merito e di riflesso le aspettative di carriera di un individuo.
In una gerarchia meritocratica, quindi, le persone con un’alta scolarizzazione dovrebbero occupare posizioni migliori, che sarebbero precluse a chi ha invece un livello inferiore di scolarizzazione; e ancora, per stabilire promozioni e premi a parità di scolarizzazione andrebbero fatti test di misurazione del QI per premiare chi ha più merito.
Per calcolare il merito M si dovrebbe applicare pertanto la formula M = S + QI + E, dove S è la scolarizzazione, QI il quoziente intellettivo ed E l’impegno profuso (l’impegno, attenzione: l’impegno, non il risultato).
In un'azienda che premiasse il merito come è definito dalla meritocrazia, dovremmo avere un merito M costituito dalle componente prima citate.
Vediamo S.
Se troviamo laureati che fanno lavori di diplomati e viceversa, S non discrimina.
Se le aziende non fanno test del QI per giustificare promozioni o aumenti, QI non discrimina.
Cosa rimane di M?
M = E.
Ciò il merito coincide con l’impegno? Questo vuol dire che chi si impegna meno è meno meritevole? No, qualcuno potrebbe obiettare che oltre all’impegno si debba considerare anche il risultato conseguito.
Bene, quindi M = E + G?
Ma anche questa formula di calcolo del merito è imperfetta: chi, a parità di risultato, si è impegnato meno risulterebbe meno meritevole. È così?
Oppure la formula corretta per il merito è M = G – E?
Così l’impegno sembra una condanna.
Allora M = G/E?
M = E + G/E?
O ancora M = (E + G)/E?
Insomma, se fate discorsi di questo genere (e presentate queste formule) a un capo, state sicuri che gli verrà il mal di testa.
Ma allora che cos'è la meritocrazia intesa dagli italiani? Ho fatto una sintesi. Per meritocrazia si intende che sarebbe giusto che emergessero coloro che più e meglio contribuiscono alla crescita dell’azienda dove lavorano, che raggiungono i risultati, che eccellono a tal punto da migliorare il proprio lavoro, quello altrui e la produttività dell'intera azienda.
Splendido.
Esiste già un tale principio di organizzazione e l’impiegato (operaio) più famoso del mondo che ha fatto del "dare il meglio senza accontentarsi per puntare all’eccellenza" è stato un certo Aleksej Grigor’evic Stachanov. Sì, il termine corretto per la meritocrazia all'italiana è stakanovismo (termine che, come meritocrazia, è stato tanto abusato da essere oggi usato fuori dalla sua primeva accezione).
Ma non è sempre e proprio così. Le aziende italiane intendono per meritocrazia un sistema dove chi si occupa delle promozioni fa le promozioni in base a un criterio che autoreferenzialmente ha definito "merito". Una cosa del genere si chiama arbitrarismo o, peggio, cooptazione.
Ecco come dovrebbe funzionare un sistema meritocratico per la scelta del direttore: faccio un concorso dove gli iscritti devono avere certi titoli studenteschi e una commissione valuterà le loro inclinazioni con vari test che attesteranno chi sa fare ciò che deve fare. Questa è meritocrazia.
Promuovere un programmatore capo dei programmatori perché è il più bravo a programmare non è meritocrazia.
Quest'ultimo modo di agire, tra l'altro, incappa nel micidiale Principio di Peter.
Laurence Peter, un sociologo canadese che ha studiato la cosiddetta meritocrazia americana ha notato che in ogni gerarchia l’individuo che eccelle in una mansione viene promosso a una mansione più appagante e remunerativa e che il processo di crescita di tale individuo termina quando questi raggiunge una mansione per la quale non si mostra più sufficientemente competente.
Da qui il Principio di Peter: «in a hierarchy every employee tends to rise to his level of incompetence.»
Il che significa che, con il tempo, ogni posizione della gerarchia tende a essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere e che quindi la struttura diventa inadeguata ad affrontare le sfide.
Insomma, la meritocrazia italiana ha come traguardo l’incompetenza.
Spero di non sentire più parlare di meritocrazia.

mercoledì 8 aprile 2009

Nella grigia tragedia un raggio di sole?

«Abbiamo 14-15mila posti a disposizione negli alberghi sul mare. Anziani e bambini è bene che vadano lì. È Pasqua, prendetevi una pausa che paghiamo noi. [Bambini] dite alla mamma di portarvi al mare e mettetevi la crema solare, [nel frattempo] noi faremo l'inventario delle case danneggiate e [grazie all'esercito] impediremo che si verifichino episodi di sciacallaggio.»
Silvio Berlusconi, tendopoli di San Demetrio (L’Aquila), 7 aprile

Certe cose, talvolta, non abbisognano di commenti.

mercoledì 21 novembre 2007

Sfogo d'artista - L'Ecopass

Ci risiamo. L'ennesima fregatura ai danni del povero cittadino. E' arrivato l'Ecopass, la soluzione all'inquinamento. Notizie più precise le trovate sul Corriere della Sera.
Io pensavo che bastasse pagare il bollo (tassa di circolazione) per circolare, e invece... e invece adesso per entrare a Milano devi pagare l'Ecopass, proporzionale non al reddito (e ci mancherebbe, mica nella costituzione c'è un articolo, che so, il 53, che dice che Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva) ma al tipo di motore (ergo chi ha la macchina nuova paga meno, chi non ha i soldi per cambiare macchina paga di più, quando pensavo all'incentivo ai consumi non mi era venuta in mente una cosa così diabolica!).
Mi sembra tuttavia giusto che chi inquina di più paghi di più, d'altronde, cari milanesi, potevate scegliere un'auto ad acqua, ad aria, elettrica, a pedali, quando siete andati a comprarla! E invece no, vi siete ostinati sui soli modelli a carburante fossile. Birichini.
VOGLIAMO LE AUTO CHE INQUINANO! Le sento le grida di voi consumatori, arrivano sino a qua. VOGLIAMO PAGARE IL PEROLIO 100 DOLLARI AL BARILE!
Già, dopo queste dichiarazioni come può venirvi in mente di far modificare le centraline delle vetture diesel o benzina ed alimentarle ad olio di semi di girasole o ad alcool di canna da zucchero, non sia mai che la macchina non inquini (ed evadiate l'accisa sui carburanti). No, per l'amor del cielo, non sia mai, d'altronde volete che la FIAT produca un modello ibrido alcool-benzina? E dove la trova tutta quella tecnologia? Magari la inventa davvero e finisce che la vende, ma in Brasile soltanto. La macchina deve inquinare, altrimenti come si fa a far sentire in colpa il povero cittadino? Tu inquini! Tu, proprio tu, non chi ti ha venduto la macchina, non chi ti obbliga ad usare il petrolio. TU!
Però in fondo mi trovo d'accordo col comune di Milano, è giusto far pagare chi inquina. Anzi, suggerisco un correttivo all'Ecopass: non solo estendetelo a tutte le città italiane, ma migliorate la fatturazione: quando una vettura entra in una zona soggetta ad Ecopass, prendetele targa, modello e marca di carburante usato. Poi spedite la fattura dell'Ecopass al costruttore di automobili e all'azienda petrolifera. Fate pagare a chi produce, i danni dei prodotti che vende, non a chi li usa, che è vittima di politiche aziendali cui non partecipa.
Provateci, e dal giorno dopo non avremo più veicoli che inquinano, ci scommetto. Ma forse è per questo che non viene fatto, perché l'inquinamento è un business. Sbaglio o la Moratti ha parenti petrolieri?
Un saluto