lunedì 27 settembre 2010

Trigillo, seconda stesura

Ho terminato la seconda stesura del Trigillo. Volevo tagliare e tagliare. E ho tagliato. Solo che poi ho anche aggiunto... sono a 570.000 battute. Ora attenderò qualche settimana, stamperò la seconda stesura della seconda parte e la darò in pasta ai miei famelici lettori che dovranno trovare tutti i punti critici che sono rimasti (speriamo pochi!), ovvero le cose non specificate, quelle specificate troppo, le divagazioni inutili, le descrizioni e i dialoghi stuccosi, eccetera.
Nel frattempo ho fatto la terza stesura del romanzo sui vampiri: ora è pronto per un editore.

mercoledì 15 settembre 2010

Mail da un amico - Parte VII

[...] Ciao, ti ho dato retta perché hai ragione, ma non è servito. Ero arrivato a un punto di equilibrio che pensavo potesse reggere: compravo la carne migliore rintracciabile a Fort William e la lasciavo nella scodella che fu di Nessie, assieme a un bicchierino di whisky. Il mio sgradito ospite pareva aver apprezzato le mie gentilezze e abbiamo passato un periodo di convivenza forzata che, se non posso definire piacevole, almeno è stato privo di turbolenze. Io gli fornivo viveri e alloggio e lui sistemava la casa, ritrovava gli oggetti persi e faceva quanto occorreva per occuparsi di ogni faccenda.
La settimana scorsa è successo l'imprevisto che mi ha riportato alla dura realtà. Forse la carne non era di buona qualità, forse ho esagerato con il whisky... non ho idea di cosa possa essere cambiato (ed è proprio questo che mi spaventa: non ho più controllo) ma lui è uscito di casa per fare uno spuntino.
Il giorno dopo la figlia di Marc Bakeley è stata trovata in camera sua e hanno faticato a rimetterne insieme i pezzi. Padre Matthew [il pastore anglicano], ha fatto un'omelia che ha messo i brividi a tutti per la cattiveria con cui si è scagliato contro l'assassino. Temo per la mia anima e prego Dio che faccia qualcosa: ho paura di comandare il mio sgradito ospite mentre dormo, mentre sogno. Ho paura che non sia lui a decidere chi uccidere, ma che lo faccia per recarmi un servigio, per essere apprezzato, non soltanto per bieca vendetta contro di me. Non riuscivo a reggere la situazione.
Ho più volte pensato di gettarmi nel Linnhe con il medaglione per portare con me la mia maledizione. Quando ormai avevo pianificato il mio suicidio reperendo grosse pietre da legarmi ai piedi e una barca da noleggiare dalla quale buttarmi, mi è tornata in mente le chiacchierate che facemmo sui luoghi che avevi visitato sulle isole britanniche. Mi avevi parlato di Stonehenge, Salisbury, dei castelli del Galles, dela Cornovaglia, e di quela città, della Seconda Gerusalemme, di Glastonbury, nel Somerset, con il suo corollario di santoni, mistici e negozi specializzati in esoterismo. Ho fatto qualche ricerca su Google, ho trovato un tipo di nome Ryan che oltre a gestire un interessantissimo blog e un sito di mistero, possedeva un negozio di oggettistica soprannaturale e curiosità religiose a Glastonbury. Ho avuto uno scambio intenso di e-mail, ci siamo parlati al telefono e ho deciso di affidarmi a lui e sono partito.
Da quello che ricordo dei tuoi viaggi, potresti anche esserci entrato con Paolo e Lorenzo: si chiama The Esoteric Shop, è un buco incastonato tra il supermercato e l'entrata del Tourist Office. In vetrina c'era esposto di tutto, ma la chicca erano le statue di oscure divinità che tu conoscerai sicuramente ma senza le quali si può vivere ugualmente felici. Guardando gli scaffali per la prima volta ho pensato che le persone interessate a queste cianfrusaglie devono essere davvero ben strane. C'erano libri colme di leggende sul GRAAL, sui folletti (un libro che ho spulciato con molto interesse), sulle ricette, sulle pozioni, sulla magia. Per non parlare delle statuette: di vetro, plastica, coccio, di qualsiasi cosa.
C'erano un pavimento di legno con listelli a lisca di pesce, librerie alle pareti e un tappeto persiano con un tavolino pieno di chincaglieria e una poltrona rossa. Aleggiava un aroma vago di spezia che non avevo mai sentito prima.
Questo Ryan, è un ragazzo che potrebbe avere la tua età ma non è molto alto, è tondo in viso e sfoggia una corporatura robusta della quale va molto fiero. E' rotolato fino a me e abbiamo chiacchierato del viaggio e del tempo. Quando tra noi sono terminati gli argomenti più futili ed è sceso un silenzio davvero ingombrante, lui mi ha chiesto se poteva vedere il medaglione. Quando ho annuito e infilato la mano nel soprabito, Ryan è uscito, ha controllato che non ci fosse nessuno per strada e ha girato il cartello OPEN su CLOSED, chiudendo a chiave la porta a vetri. Ha spento la luce del negozio, che è precipitato in una penombra soffusa e magica ed è rimasto illuminato soltanto dai lampioni della strada, e ha acceso la lampada d'acciaio del bancone.
Ho appoggiato il medaglione sotto la campana di luce, lui ha indossato dei guanti in lattice e preso uno di quegli ingranditori che usano gli orefici; ha studiato il monile a lungo, senza dire una parola. Lo rigirava, passava le dita tra le scanalature ed esaminava ogni pollice a pollice con l'ingranditore. Poggiò il medaglione dove l'avevo messo io, chiuse gli occhi, si afferrò la faccia con le mani e rimase immobile e in silenzio fino a quando non mi misi a tossire per finta. Mi fissò e mi chiese come fosse possibile che lì dentro ci stesse un folletto.
Annuii e gli spiegai che ero lì per scoprirlo e che sarebbe stato lui a dovermelo dire.
Mi spiegò che non era un archeologo ma poteva affermare senza difficoltà che il medaglione era molto antico, anche se non sapeva quanto. La sua faccia tonda e piena attraversò tutte le espressioni di dubbio e sconforto, poi si illuminò e Ryan prese la porticina che si apriva dietro il bancone, scostando la tenda rossa ricamata con fate, funghi, unicorni, folletti e tornò con una scatola pesante, rettangolare; appoggiatala e apertala, ne trasse un libro rilegato in pelle e decorato con animali stilizzati simili a quelli del medaglione. Ripresi il monile e lo infilai in tasca.
Ryan sussurrò che il libro contenesse tutto lo scibile umano sulle diavolerie come il mio gingillo e cominciò a cercare qualcosa che lo riguardasse. Quando aprì il libro, l'odore della pergamena, del cuoio e della polvere si mischiò a quello dell'incenso e delle spezie, facendomi starnutire; Ryan girò le pagine come un religioso alle prese con un testo sacro. Dopo minuti di silenzio snervante, mi appoggia sul bancone, mi allungai verso il libro e sbirciai sulle pagine miniate.
La pergamena era scritta in latino, a mano, ed era ricca di immagini, vergate con il medesimo inchiostro bruno del testo. Sulla pagina dove Ryan leggeva, c'erano i disegni di un vecchio con una lunga barba (un druido forse), e di alcuni gioielli (collane, anelli e una spada) con decorazioni simili a quelle del mio ciondolo. Alcune parti del testo parevano gaelico ma non riuscii a decifrarle.
Ryan mi intimò di non leggere con voce calma: a quanto pare c'erano rivelazioni su Cose che ci circondano e che non vediamo tanto raccapriccianti da portare alla follia.
Provai un lungo brivido, mi allontanai dal bancone mi buttai sulla poltrona di pelle scarlatta che restava alla destra del mobiletto sommerso di cianfrusaglie.
Graffiai il silenzio della lettura per chiedergli se mi credesse e mi diede una risposa che non dimenticherò.
«Non vedo perché non dovrei» disse continuando a leggere. «C'è chi crede nei fantasmi, nei miracoli, e persino chi crede ai governanti. Se un operaio crede alla politica di un leader di destra, perché io non dovrei credere ai folletti?»
La risposta mi lasciò uno strano sapore in bocca, poi Ryan cambiò discorso e centellinò informazioni sul Piccolo Popolo e sulle leggende che lo riguardavano. Dopo una lunga ricerca, mi invitò dalla sua parte del bancone per guardare quel che aveva trovato.
Sbirciai sulle pagine di pergamena e Ryan mi spiegò che si trattava di un "famiglio", e nella fattispecie di un brownie. Il disegno era esplicativo nel suo repellente minimalismo. Il mostriciattolo era alto sessanta centimetri, aveva carnagione scura, pelle scura e grinzosa, un naso lungo e le gambe storte. Ryan lesse che un brownie amava terminare i lavori degli uomini in cambio di un po' di latte, miele e biscotti; non amava essere criticato e in caso di tensioni con il padrone, diventava permaloso e si dilettava in perfide burle. Perfide burle. Mangiare Lassie e sbudellare i miei vicini non rientra in quel concetto.
Rimaneva da capire che cosa ci facesse il mostriciattolo dentro un medaglione ma Ryan mi espose la teoria che aveva preparato: a suo avviso, il brownie era legato al medaglione a causa di una punizione subita dal suo signore, che lo obbligò a esaudire i desideri dei suoi padroni.
Dopo quanto sviscerato da Ryan, i fatti cominciavano a prendere una piega se non scientifica, almeno riconducibile a rapporti di causa ed effetto. Il signore del mio sgradito ospite lo aveva punito rinchiudendolo in un medaglione affinché facesse da schiavo a chi entrava in possesso del monile. Presi a camminare per il negozietto colmo di cianfrusaglie e dopo aver girato attorno al mobile e alla poltrona, formulai la domanda che più mi premeva. Potevo liberare il mostriciattolo dalla sua punizione oppure renderlo al proprio signore?
Ryan fece una smorfia, si grattò la testa e mi fece un nome.
Gwyn ap Nuud.
A stare alle incisioni sul monile era lui il signore del brownie. Gwyn ap Nuud, il Signore delle Fate e il sovrano dell'Annwn, il regno dei morti. Non era una bella prospettiva.
Quando chiesi a Ryan come restituire il monile, mi guatò con occhi piccoli e cupidi, come se bramasse il medaglione; mi disse che era un azzardo e che l'oggetto che avevo trovato era prezioso. Provò in mille maniere ma non riuscì a convincermi; il fatto che il medaglione fosse legato a me lo fece desistere e lo convinse ad aiutarmi a restituirlo al Signore delle Fate. Infagottò il librone, lo ripose nella sua scatola e lo prese sotto braccio; mi invitò a seguirlo e uscì dal negozietto eccitato come un bambino.
Appena uscimmo cominciò a piovere, il cielo si illuminò e un tuono brontolò in lontananza. Ryan camminava spedito, entusiasta e la faccenda mi preoccupò. Parlammo su cosa doveva essere fatto. Eravamo diretti alla collina del Tor, nonostante facesse ormai buio e la pioggia avesse cominciato a battere la città. Dal Tor Ryan avrebbe evocato Gwyn ap Nuud con un antico rituale affinché si riprendesse il monile. Rabbrividii all'idea che esistono fatti e persone che sfuggono alla comprensione razionale degli eventi. Ryan mi disse che era la prima volta che provava a fare una cosa del genere e che non sapeva nemmeno se esistesse Gwyn ap Nuud. Ma c'erano delle istruzioni, c'erano delle parole, delle frasi, un rituale da compiere, un posto dove farlo. Noi eravamo nel posto giusto e avevamo le parole giuste. Sperai che fossimo anche le persone giuste.
Ryan accarezzò la scatola che aveva infilato sotto l'impermeabile e procedette spedito verso la collina del Tor, alla periferia nord di Glastonbury. Pioveva che Dio la mandava. O forse non era il Dio dei cristiani ma il Dio celtico della pioggia. O forse era il Dio gaelico, o quello anglio. Insomma, non so chi mandasse quella pioggia sottile, sferzante, fredda e cattiva, ma so che era metà giugno e una pioggia del genere doveva per forza orchestrarla qualcuno perché non aveva nulla di naturale. Settimane fa non avrei dato alcun peso alle parole di invasati come Ryan, e non avrei dato alcun credito a un certo tipo di pubblicazioni. Ora quel libro mi spaventava e a ogni vicolo mi guardavo intorno, e indietro, scorticato dalla paura di incontrare cose che non credere esistere.
Iniziammo la scalata alla collina del Tor che il cielo sembrava una lastra di nero granito spezzata da fulmini bianchi e forcuti. I tuoni scoppiavano come i moschetti degli inglesi a Culloden e il buio era tale che la torre del campanile di San Patrizio, sulla sommità della collina, nemmeno si intravedeva. Salimmo incespicando lungo il sentiero sull'erta e mi accorsi di essere arrivato in cima soltanto per via della pendenza che scemava. Camminai come un cieco aggrappandomi all'impermeabile di Ryan ed ebbi un tuffo al cuore Ryan entrò e, finalmente al riparo dalla pioggia, accese una lampada portatile.
Lo insultai, scosso dalla scoperta: avevamo attraversato la campagna umida e buia e lui non l'aveva usata. Fece spallucce e non prese sul serio la mia rabbia: conosceva la strada a memoria e non voleva consumare le batterie. Mi chiese di reggere la lampada, sfoderò il libro curandosi che non fosse raggiunto dalla pioggia e cominciò a leggere una formula presa dalla pagina con i disegni simili alle celtic knoth del monile.
Ryan parlò una lingua che sembrava gaelico ma che mi diede i brividi perché non ne riconobbi le parole ma che la mia anima percepì essere molto più antica più di qualsiasi dialetto che ancora sopravvive negli angoli più remoti di Albione, molto più antico della lingua che parlavano i nostri antenati quando combatterono i Fomori, una lingua che affondava le sue radici nei giorni in cui erano le donne a governare il nostro mondo e a tramandare la discendenza. Non chiedermi altro perché non saprei come spiegartelo, è stato un brivido, è stata la rivelazione di qualcosa di ancestrale. Non saprei come tradurti ciò che è stato detto da Ryan, non saprei nemmeno riportare i suoni gutturali e tremendi che emise. Soltanto quel nome risaltava su tutto. Gwyn ap Nuud. Gwyn ap Nuud. Gwyn ap Nuud.
Quando terminò di recitare l'invocazione uscimmo dal campanile. Il cielo stellato si aprì sopra il Tor e le nubi vorticarono, come se fossimo nell'occhio di un ciclone. Il frastuono, un fragore come di una cascata divenne insopportabile e un odore putrido e antico giunse dalla campagna, togliendomi il respiro. Attorno a noi, i campi verdi separati dalle staccionate svanirono in un oceano di bruma luminescente che catturava il chiarore delle stelle e della luna. Mi scoprii immerso in un mare di luce, su quell'isola di vetro che prende il nome di Avalon.
Dopo minuti di silenzio che picchiava come un fabbro, l'odore putrescente scomparve, il cielo si richiuse e il buio, il freddo e la pioggia di Glastonbury tornarono a insinuarsi sotto i nostri vestiti.
Domandai a Ryan se pensava che avesse funzionato ma egli ripose il librone nella fodera e nella scatola. Mi disse di guardare se avevo ancora il medaglione con me e frugai nella tasca.
Il medaglione era ancora con me.
Mi caddero le braccia ma la mia delusione non contagiò Ryan, che mi assicurò che prima o poi qualcosa sarebbe successo. Si precipitò giù dalla collina fischiettando, io lo seguii senza dire una parola. Il cielo si era rasserenato e la luna illuminava i campi e il sentiero che riportava in città. Raggiungemmo la strada che andava verso il centro e da lì in un batter d'occhio superammo il pozzo del Sacro GRAAL e l'abbazia dove era sepolto Re Artù. Mi parve di correre per rimanere al passo di Ryan ma quando arrivammo al b&b dove alloggiavo non avevo il fiatone e non mi sentivo stanco.
Ryan sorrise e mi strinse la mano sulla soglia del giardino che conduceva alle camere. Potevo tornare a Fort William e confidare che presto sarebbe accaduto qualcosa.
«Presta fede» mi disse: «qualcosa accade sempre, prima o poi.»
Avrei voluto insultarlo e dargli del ciarlatano ma non aveva voluto una sterlina per l'aiuto e così, sconsolato, convenni con lui che sarebbe stato meglio ritornare a casa. Ryan si allontanò lungo la strada che affogava in una polla di buio indefinibile ma quando passò sotto un lampione, per un attimo, soltanto per un attimo indefinibile e terrificante, ebbi l'impressione di scorgere una coda puntuta muoversi sotto il suo impermeabile.

lunedì 6 settembre 2010

I Sigili digitali? Sì grazie!

Giusto un flash per comunicare che Asengard propone le versioni e-book dei Sigilli. Si trovano per esempio su IBS: Il Sigillo del vento e Il Sigillo della Terra. Io dei libri preferisco sempre le versioni cartacee: non ti piantano in asso perché hanno finito le batterie, puoi fare le orecchie alle pagine e sottolineare quello che ritengo impotante.

Trigillo - Fine prima stesura

Ho la notizia che in molti attendevano.Ho terminato la prima stesura della Parte VIII, la seconda e conclusiva del Trigillo. Sono
572.632 battute che unite a quelle della PARTE VII fanno un volume un po' più spesso de Il Sigillo della Terra. Ora lascerò decantare qualche settimana quanto scritto e lo rivedrò per una seconda stesura nella quale voglio portare le battute a 550.000 lavorando di fino su quanto già scritto; terminato questo lavoro di scalpello, stamperò la seconda stesura e, dopo una settimana di abbandono, la leggerò su carta io e qualche (s)fortunata cavia. Sono soddisfatto ma non fino in fondo. Avevo scritto due capitoli che ho dovuto tagliare per non dare un'impronta troppo fanascientifica al tutto: mi piacevano, erano riusciti bene ma dopo una rilettura critica mi sono convinto che dare un taglio del genere era osare davvero troppo, soprattutto dopo quello dato nei volumi precedenti (pazienza, riciclerò l'idea di base per qualcosa da scrivere in futuro). Forse l'ho già scritto ma ci tengo a scriverlo ancora: l'atmosfera è più cupa dei volumi precedenti e i fatti sono più crudi nonostante non abbia affrontato nessuna vera e propria "battaglia campale" come ne Il Sigillo della Terra. Vedremo se il taglio che ho dato sarà apprezzato.
A presto