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venerdì 30 aprile 2021

Demotivare - la copertina!

Avevo preannunciato qualche tempo fa che un saggio semiserio di sociologia del lavoro era piaciuto all'agenzia letteraria Saper Scrivere, che l'ha piazzato. La copertina proposta dall'editore Homo Scrivens è pronta:

 

La sinossi è la seguente:

Tore André Maelström, docente di Sociologia del lavoro a Cambridge, è contattato dall'amico Gelderico per essere istruito sull'arte della demotivazione, per "disfarsi" legalmente di un collaboratore molto valido che non può licenziare. Il professore, esperto di Motivazione, ha qualche remora, ma accetta la sfida e realizza un manuale tecnico con le istruzioni necessarie a demotivare una generica risorsa umana, illustrando alcuni principi di Meritocrazia e Incompetenza, con esempi pratici sul come rovinare il piacere di lavorare ai sottoposti, fino a spiegare la ragione per cui risulti moralmente accettabile demotivare un lavoratore capace.

Volendo, i più impavidi lo travano già da prenotare, qui.

A presto.

PS: Codex Cleopatra sta per essere terminato.

 

venerdì 7 marzo 2014

La citta di Acri, il Regno di Cesse e il sultano Babi

Quella che vi narro è una leggenda del popolo Cananeo, o per lo meno, per tale viene spacciata da chi me l'ha raccontata. Come egli fece con me, io faccio con voi.
La storia che vi voglio narrare è ambientata tanto tempo fa, in quel crogiolo di popoli che fu la mezzaluna fertile. Questa storia narra le vicende della città operosa e felice di Acri. Questa città vedeva i suoi abitanti produrre armi complesse ed efficaci per il tempo che avevano permesso ad Acri di mantenersi libera dalle conquiste e prospera. Gli abitanti erano tanto affaccendati ed efficienti che avevano smesso di occuparsi delle questioni della loro città per dedicarsi ai propri mestieri e avevano conferito a un consiglio di capitani del popolo il compito di amministrarli.
Un brutto giorno il sultano Babi convocò il re di Cesse, suo vassallo, per informarlo di come gli fossero giunte voci di movimenti di popoli nomadi che, dalle terre ancora più a oriente, minacciavano di invadere le terre di Cesse prima e quelle del sultano poi. Visto l'amore cavalleresco che li univa, il sultano di Babi decise di aiutare il re di Cesse ma, nonostante il gran numero di soldati, c'era la possibilità che il regno di Cesse sarebbe caduto. Anche il regno di Cesse produceva armi ma lance e spade e scudi erano di gran lunga inferiori a quelli a disposizioni dei nomadi.
- Come farò allora? - domandò il re di Cesse.
- Conquista Acri - gli suggerì il sultano - gli uomini di quella città producono armi molto migliori di quelle fatte dai tuoi schiavi e potrai farli schiavi a loro volta e mandarli a combattere contro i barbari.
- Ma come faccio a conquistare una città che ha armi più potenti? - si lamentò il re di Cesse.
- Hai molto oro, usalo.
- Ma con l'oro non si fanno armi potenti.
- Usa l'oro per corrompere i capitani del popolo di Acri, sciocco! Così essi ti consegneranno la città senza colpo ferire.
E così fu. Il re di Cesse mandò degli emissari, riempì d'oro i capitani di Acri che gli aprirono le porte consegnandogli la città e mantennero il potere come valvassori di Cesse e del sultano Babi. L'invasione dei nomadi fu arginata al prezzo della vita e della libertà di Acri ma Cesse visse altri lunghi lustri di splendore.
La morale di questa favola potrebbe essere riassunta nel fatto che l'oro arriva dove non arriva l'acciaio oppure nel fatto che ogni uomo libero rimane tale finché cura i propri affari e non li delega ma la storia non finisce qui.
La storia che mi è stata narrata giunge da fonti cananee e ho approfondito l'argomento. I cananei l'hanno ereditata dai mitanni e dagli ittiti, e questi dagli assiri, che a loro volta l'hanno sentita dai babilonesi che, infine, l'hanno appresa dai sumeri. E la storia che scrissero i sumeri non termina qui, ma continua, anche se per molto poco. La storia sumera narra che un giovane di Acri non accettò ciò che era successo e che non si piegò agli accaduti. Questo giovane, privo di legami ma colmo di coraggio e sdegno, decise di immolare la propria vita alla Dea della Vendetta e iniziò a trovare e macellare i capitani del popolo che avevano venduto la città. Uno a uno caddero tutti, loro e le loro famiglie, trucidati dall'ira del vendicatore. Il re di Cesse fu trovato avvelenato e il sultano Babi perì durante una battuta di caccia, trafitto da una freccia. Questa aggiunta non cambia l'esito della storia, ma ne altera la morale: basta un uomo solo a raddrizzare i torti.
Si capisce come i popoli che ereditarono la storia, dai babilonesi in poi, e tutti con forme politiche più vicine agli imperi che alla federazione di città-stato come i sumeri, alterarono la storia per nascondere il vero finale: i pastori non vogliono che gli agnelli sappiano che possono mutare in lupi...

martedì 20 agosto 2013

Perché non recensisco più

Qualcuno mi chiede perché non recensisco più romanzi. Perché ho riletto le mie recensioni, ho letto molte recensioni altrui e ho studiato, facendomi un'opinione del tutto personale riguardo ai romanzi e ai commenti degli stessi. Ora vi racconto come la penso.
Parliamo innanzitutto del testo. E già qui farò una distinzione che subito sembrerà strana ma al termine della lettura apparirà chiara: distinguerò infatti tra libro e romanzo. Il libro è l'oggetto fisico, le pagine, lo scritto; il romanzo è l'esperienza generata dal libro.
Cominciamo dunque con il libro, ovvero con il testo. Un testo deve essere comprensibile, completo e coerente.
Ma, esaminando solo questi tre aspetti, ci si limita alla valutazione del codice linguistico con il quale è scritto (il cosiddetto livello denotativo). Si critica il libro. Ma il libro non è il romanzo. E non lo è perché i termini evocano immagini (mentali, legate alla capacità cognitiva del lettore) che si caricano di significati che vanno ben oltre il piano letterale e rendono più complesso il significato del testo (il cosiddetto livello connotativo).
Un romanzo dunque non si esaurisce nel proprio livello denotativo ma, a mio avviso, neppure nel suo livello connotativo. Il romanzo vero e proprio è un insieme temporale di più elementi. Vediamo se riesco a fare un'analisi come si deve di ciò che ho maturato. Ecco i momenti del romanzo, ovviamente a mia personale opinione, che costituiscono i passi dell'esperienza mentale legata alla lettura.
1) C'è un primo momento, il momento denotativo, quello durante il quale il lettore legge ciò che è scritto, ovvero le parole, il periodo, la pagina, il capitolo, il libro. Questo primo momento è soggetto alle regole del livello denotativo, ovvero all'essere comprensibile, completo e coerente.
2) Il secondo lo chiamerei momento interpretativo/cognitivo e si riferisce all'immagine mentale che il lettore ottiene dal primo momento. Riguarda proprio ciò che, quando leggiamo, immaginiamo grazie alle parole.
3) Il terzo è il momento connotativo e riguarda il significato del testo, ovvero ciò che significa l'immagine mentale che il lettore si è fatto di ciò che ha letto. Il romanzo non si esaurisce nemmeno qui, il romanzo infatti, credo che sia oltre, è al prossimo punto.
4) Il quarto lo definirei momento introiettivo/proiettivo. Riguarda ciò che il lettore vede di sé nella narrazione, ovvero come il lettore partecipa a quanto compreso del punto precedente. Il romanzo è questo e, come spero di aver mostrato, è ben diverso dal libro.
Veniamo alla recensione di un romanzo.
La maggior parte delle "critiche" di molti blog che si occupano di recensire libri si ferma all'analisi del primo momento; c'è chi l'esegue in maniera molto approfondita e "scientifica" (per quanto si possa esaminare in tale maniera un'arte, che è pertanto soggetta a metodo induttivo e non deduttivo), chi meno, ma la maggior parte si limita a ciò che ha letto, non a ciò che ha visto e a ciò che il romanzo ha comunicato. I romanzi diventano meravigliosi o ributtanti in funzione del solo libro. Un errore a mio avviso. Un errore dal quale non sono stato esente in passato.
Vediamo meglio, con l'aiuto di due frasi.
A) "Marco guarda a lungo e con astio Paolo; infine si alza velocemente dalla sedia, prende con rabbia un grosso libro e lo lancia violentemente contro di lui".
B) "Marco guata Paolo, balza dalla sedia, afferra un libro e glielo scaglia contro."
Dopo esserci fatti un'idea delle regole della scrittura, possiamo dire che la frase A) è peggiore della frase B) perché dice le stesse cose ma in modo meno immediato e più approssimativo. Possiamo però asserire che la frase A) "fa schifo"?
No, non possiamo, perché tale frase rispetta le regole del momento denotativo (perché è comprensibile, completa e coerente). Possiamo dire (nella semplificazione che le frasi siano il libro) che il libro B) è migliore del libro A). Certo, ma il romanzo A) è migliore del romanzo B)? Come ho detto prima, il romanzo non è il libro.
La lettura della frase A) e la frase B) (momento denotativo) innesca il medesimo momento interpretativo/cognitivo. Infatti, se non avvengono disturbi soggettivi a livello cognitivo (problema che non voglio affrontare perché esula dalla trattazione), che Marco si alzi velocemente oppure balzi dalla sedia, l'immagine mentale che ci facciamo della scena è la medesima. Se il momento 2) è il medesimo, saranno i medesimi i momenti 3) e 4).
Che Marco balzi o si alzi velocemente il significato della sua azione è il medesimo. Ed è il medesimo anche ciò che di noi permea l'azione: avremmo agito anche noi come lui o avremmo agito diversamente? Il momento di introiezioni/proiezione dell'azione di Marco non viene inficiato dalle parole con le quali è scritto (se, ovviamente, sono comprensibili, complete e coerenti, come è). Il romanzo è quanto c'è di noi che leggiamo in Marco, non in come è stato scritto che abbia fatto ciò che ha fatto.
Esistono quindi romanzi "brutti", "ributtanti", "illeggibili"? A mio avviso no, esistono libri "meno belli", il che è un'altra cosa.
Ma i libri sono come gli amici: non sono il contenitore esterno o la faccia, e non sono nemmeno quello che ci dicono o quello che fanno; gli amici sono ciò che di noi c'è in loro e viceversa.

giovedì 20 settembre 2012

Meritocrazia. All'italiana naturalmente.

Meritocrazia.
La parola è magnifica, evocativa, ma è soprattutto abusata.
Sono in tanti, in Italia, a evocarla senza sapere che cosa sia. Intanto la meritocrazia è un regime (ma è una semplificazione, in realtà è l’ideologia, la sovrastruttura di tale regime, ma questo è un discorso per addetti ai lavori). La meritocrazia è come la democrazia, la plutocrazia, l’aristocrazia, la monarchia. Cioè, semplificando, è uno degli assetti politico-istituzionali di ciò che noi moderni chiamiamo Stato.
Questo abbaglio è tuttavia il male minore in quanto se ne è commesso uno peggiore.
Meritocrazia non è nato come termine positivo.
Chi lo ha coniato (e come dicevo prima, come termine che indicasse un regime), ovvero Michael Young, non lo ha fatto per elencarne i pregi quanto piuttosto per mettere in guardia dalle contraddizioni e dalla degenerazione del sistema stessa. Young oltre che un sociologo, era un politico del Labour Party e l’opera The Rise of Meritocracy (potremmo definirlo come il manifesto della meritocrazia) fu scritta per la Fabian Society, un movimento socialista. L’uso del termine meritocrazia rimanda quindi a una idea dispregiativa appartenente agli ambienti del socialismo riformista che intendeva scimmiottare la plutocrazia (e non è un caso che il termine sia stato coniato in un paese protestante, e anche questa considerazione è per addetti ai lavori) e dimostrare come meritocrazia non fosse altro che una sorta di "diversa plutocrazia".
Tony Blair rilasciò un'intervista dove parlava della meritocrazia del suo partito portando ad esempio un agricoltore che era diventato un membro importante del partito in virtù della propria dedizione e capacità: Blair fu bacchettato da Young con un illuminante articolo sul Guardian nel quale il sociologo spiegava l’uso improprio e positivo che ne faceva il politico (ovviamente senza sapere di cosa parlasse).
Le aziende italiane parlano di meritocrazia ma in realtà intendono Meritorietà, ovvero il principio di organizzazione sociale basato sul criterio del merito M. Lo sanno? Sanno questi illustri imprenditori come si quantifica il merito M?
Sempre nel manifesto della meritocrazia, Young espone l’utilizzo di test di comparazione delle abilità e del QI e pone l’accento sul livello di scolarizzazione S del soggetto: questi, oltre l’impegno E, sono i criteri sui quali si basa il merito e di riflesso le aspettative di carriera di un individuo.
In una gerarchia meritocratica, quindi, le persone con un’alta scolarizzazione dovrebbero occupare posizioni migliori, che sarebbero precluse a chi ha invece un livello inferiore di scolarizzazione; e ancora, per stabilire promozioni e premi a parità di scolarizzazione andrebbero fatti test di misurazione del QI per premiare chi ha più merito.
Per calcolare il merito M si dovrebbe applicare pertanto la formula M = S + QI + E, dove S è la scolarizzazione, QI il quoziente intellettivo ed E l’impegno profuso (l’impegno, attenzione: l’impegno, non il risultato).
In un'azienda che premiasse il merito come è definito dalla meritocrazia, dovremmo avere un merito M costituito dalle componente prima citate.
Vediamo S.
Se troviamo laureati che fanno lavori di diplomati e viceversa, S non discrimina.
Se le aziende non fanno test del QI per giustificare promozioni o aumenti, QI non discrimina.
Cosa rimane di M?
M = E.
Ciò il merito coincide con l’impegno? Questo vuol dire che chi si impegna meno è meno meritevole? No, qualcuno potrebbe obiettare che oltre all’impegno si debba considerare anche il risultato conseguito.
Bene, quindi M = E + G?
Ma anche questa formula di calcolo del merito è imperfetta: chi, a parità di risultato, si è impegnato meno risulterebbe meno meritevole. È così?
Oppure la formula corretta per il merito è M = G – E?
Così l’impegno sembra una condanna.
Allora M = G/E?
M = E + G/E?
O ancora M = (E + G)/E?
Insomma, se fate discorsi di questo genere (e presentate queste formule) a un capo, state sicuri che gli verrà il mal di testa.
Ma allora che cos'è la meritocrazia intesa dagli italiani? Ho fatto una sintesi. Per meritocrazia si intende che sarebbe giusto che emergessero coloro che più e meglio contribuiscono alla crescita dell’azienda dove lavorano, che raggiungono i risultati, che eccellono a tal punto da migliorare il proprio lavoro, quello altrui e la produttività dell'intera azienda.
Splendido.
Esiste già un tale principio di organizzazione e l’impiegato (operaio) più famoso del mondo che ha fatto del "dare il meglio senza accontentarsi per puntare all’eccellenza" è stato un certo Aleksej Grigor’evic Stachanov. Sì, il termine corretto per la meritocrazia all'italiana è stakanovismo (termine che, come meritocrazia, è stato tanto abusato da essere oggi usato fuori dalla sua primeva accezione).
Ma non è sempre e proprio così. Le aziende italiane intendono per meritocrazia un sistema dove chi si occupa delle promozioni fa le promozioni in base a un criterio che autoreferenzialmente ha definito "merito". Una cosa del genere si chiama arbitrarismo o, peggio, cooptazione.
Ecco come dovrebbe funzionare un sistema meritocratico per la scelta del direttore: faccio un concorso dove gli iscritti devono avere certi titoli studenteschi e una commissione valuterà le loro inclinazioni con vari test che attesteranno chi sa fare ciò che deve fare. Questa è meritocrazia.
Promuovere un programmatore capo dei programmatori perché è il più bravo a programmare non è meritocrazia.
Quest'ultimo modo di agire, tra l'altro, incappa nel micidiale Principio di Peter.
Laurence Peter, un sociologo canadese che ha studiato la cosiddetta meritocrazia americana ha notato che in ogni gerarchia l’individuo che eccelle in una mansione viene promosso a una mansione più appagante e remunerativa e che il processo di crescita di tale individuo termina quando questi raggiunge una mansione per la quale non si mostra più sufficientemente competente.
Da qui il Principio di Peter: «in a hierarchy every employee tends to rise to his level of incompetence.»
Il che significa che, con il tempo, ogni posizione della gerarchia tende a essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere e che quindi la struttura diventa inadeguata ad affrontare le sfide.
Insomma, la meritocrazia italiana ha come traguardo l’incompetenza.
Spero di non sentire più parlare di meritocrazia.

martedì 15 maggio 2012

Concorso Ioscrittore, risultati

Io e Marco abbiamo mandato un lavoro a quattro mani.
Abbiamo commentato gli incipit dei romanzi altrui e abbiamo ricevuto commenti. Il nostro lavoro non è passato alla fase finale (non è risultato tra i primi 200) ma poco male: ci premevano i commenti dei lettori/scrittori sul nostro incipit, perché da essi dipendevano certi lavori di editing che volevamo pianificare.
Ora proponiamo alcuni estratti dei commenti preceduti dal voto che abbiamo ricevuto (non sono tutti e non sono completi) in modo che si possa capire perché rimaniamo perplessi:

8 - La prosa è fluida e curata, cattura e coinvolge. I dialoghi sono credibili e ben strutturati. Non ho trovato nulla da correggere, migliorare o modificare.
4,67 - Tutto è farsesco, i personaggi sono delle macchiette e così l'ambiente all'interno del quale si muovono.
7,67 - L'autore ha una straordinaria capacità di scrittura, con uno stile asciutto e essenziale, fedele ai miti e ai riferimenti di genere, e sa giocare con maestria con i classici del noir e del poliziesco.
3 - Credo che l'autore abbia bisogno di dedicarsi ancora molto alla scrittura, prima di poter cimentarsi in un libro vero e proprio.
7,67 - Buona capacità di scrittura, stile vivace, buoni anche i dialoghi. Il libro non ha praticamente bisogno di alcun editing. Stuzzicante e abbastanza originale, uno dei migliori che ho letto.
5 - Confuso, poco originale sia nel linguaggio che nella trama
7,67 - L'incipit è quasi all'altezza di capolavoro

Ebbene, a chi dobbiamo credere?
Abbiamo scritto un capolavoro o non sappiamo scrivere?
Il punteggio più alto è 8,33, il più basso 3: come è possibile? Il 3 è stato usato per boicottarci?

Qualcuno ha addirittura contestato la battuta perché ci sarebbe un errore. Si tratta di una battuta: se due persone usano tra loro una sorta di slang, cosa devo scrivere per farlo capire: farli parlare come due membri dell'accademia della crusca e specificare che si parlavano in slang? Se un personaggio parla usando "a me mi" siamo noi che non sappiamo scrivere?
Come dicevo a qualcuno, tanto tempo fa, forse non sono soltanto gli scrittori che devono imparare a scrivere ma i lettori che devono imparare a leggere...

Ringraziamo tutti coloro che hanno letto il nostro libro e hanno espresso complimenti e critiche costruttive (soprattutto queste ci saranno di aiuto) perché ne faremo tesoro.

lunedì 7 marzo 2011

Il "mio" cane?


"Il tuo cane il più bravo e il più simpatico qui non può entrare"

Divertente: chissà quanto è costato al contribuente il parco, un cartello del genere e l'annessa ironia.
Premettiamo che il parco è pubbilco.
Premettiamo che se non porto il cane al parco, dove lo porto, in un parcheggio?
Premettiamo anche che ho sempre con me il sacchettino per raccogliere il PIL (prodotto interno lordo) di Pandora.
Premettiamo anche che i cani hanno un microchip che riporta il proprietario.
E aggiungiamo, infine, che i pannelli integrativi servono a limitare la validità dei divieti (e che noi italiani siamo spettacolari quando dobbiamo inventarceli).
Ebbene, la domanda è la seguente: Pandora non è il mio cane (appartiene a mia moglie e la proprietà non è transitiva). Ora, quando entro al parco con Pandora al guinzaglio, il divieto è limitato dal fatto che il cane deve essere mio (e quindi possiamo entrare entrambi)?
Nel frattempo, il Paese è allo sfascio...

venerdì 28 agosto 2009

L'incadescenza incandescente

Dal primo settembre sarà vietata la vendita delle lampadine a incandescenza.
Bravi, compimenti.
Complimenti anche a Greenpace.
Sì, bravi, salviamo il mondo ADESSO.
Complimenti davvero.
Gli orsi polari ringraziano.
Cosa vuol dire inquinare meno con lampadine più efficienti? Più efficienti di cosa poi? Delle vecchie? Ma li avete fatti i conti di tutto-tutto? Le lampadine a fluorescenza rendono l'80% in più di quelle a fluorescenza. Cavoli, un totale! Però quelle a incandescenza trasformano in luce il 5% dell'energia. Cosa vuol dire rendere l'80% in più di qualcosa che trasforma in luce il 5% di energia? Vuol dire trasformare in luce il 7% dell'energia. Il mondo adesso è davvero salvo...
Ma dico, ci siamo fumati il cervello?
Ho un variatore di tensione in camera e, a parte che non posso usare le lampade a fluorescenza, se lo uso mandando la lampadina a incandescenza al 10% della potenza consumo di più o di meno rispetto a una a fluorescenza che deve per forza star accesa tutta?
Li avete fatti i conti bene? Quanto costa produrre lampadine a fluorescenza, c'è il costo ambientale di produzione nei calcoli fatti? C'è il costo di smaltimento delle lampade a fluorescenza? Sì, si risparmia sulla bolletta, ma lo smaltimento poi? Le lampade a fluorescenza contengono mercurio, a questo ci hanno pensato?
Se ti cade una lampadina a incandescenza e si rompe, raccogli i cocci e finisce tutto lì, se se ne rompe una a fluorescenza, occorre areare il locale, usare preacuzioni per raccogliere i cocci, sperare che il mercurio non se ne sia andato in giro e quindi portarla in un centro di smaltimento mentre con quelle a incandescenza le buttavi nel vetro-plastica-barattolame. Bel guadagno, davvero, complimenti ancora.
Prima avevamo lampadine che consumanvano un po' ora abbiamo bombe al mercurio che consumano un po' meno, siamo tutti un po' più felici. Evviva, ho un futuro rifiuto pericoloso appeso al soffitto!
Poi la vita delle lampidene a fluorescenza è superiore a una a incandescenza, sì, ma se non si tratta di numerose accensioni, altrimenti la fola cambia. E a questo avete pensato?
Ora, dopo lo sfogo, la rilfessione.
Di solito quando la cosa 1 funziona meglio della cosa 2 e la gente lo sa, automaticamente, l'invenzione 1 soppianta la 2, senza l'obbligo legislativo. Perché ci vuole una legge che vieta l'invenzione 1? E poi le lampade a incandescenza e quelle a fluorescenza hanno caratteristiche anche di funzionamento differenti, la prima non risente di rapide accensioni e spegnimenti, la seconda li percepisce come traumi. Non ha nessun senso.
Perché mi è stata tolta la libertà di scegliere che lampadina usare? E poi cosa vuol dire inquinare meno? Se in tutte le case cambiamo le lampadine ma introduciamo un'asciugatrice consumeremo molto di più, ma che senso ha? Allora vietiamo anche i forni elettrici. Consuma di più una caffettiera a gas o una elettrica? Vietiamo quella che consuma di più. Ma siamo pazzi?
Obblighiamo le persone a non usare più le lampadine a incandescenza perché, proverette, funzionano peggio di queste nuove, poi però obblighiamo gli automobilisti ad accendere le luci anche di giorno producendo un sovra-inquinamento totalmente inutile. Ma quale forma perversa di ambientalismo briganteggia tra le nostre sinapsi?
Ma la volete piantare di prenderci per i fondelli? Cioè, vengono bandite lampade che hanno una resa del 5% in favore di altre che ne hanno una del 7% e non si passa a carburanti alternativi?
Quando a Collecchio ci sono le giornate verdi viene chiusa al traffico Piazza Avanzini. Cinquanta metri di strada. Se devi andare oltre la piazza puoi usare il dedalo di strade che la fiancheggia, facendo due chilometri, cosa che fanno tutti. A fine giornata, se ogni auto che prima faceva cinquanta metri ora ne fa duemila, i bimbi in carrozzina avranno respirato meno schifezze? Non lo so io, ma i neuroni comunicano o l'individualismo è arrivato anche lì?

mercoledì 8 aprile 2009

Nella grigia tragedia un raggio di sole?

«Abbiamo 14-15mila posti a disposizione negli alberghi sul mare. Anziani e bambini è bene che vadano lì. È Pasqua, prendetevi una pausa che paghiamo noi. [Bambini] dite alla mamma di portarvi al mare e mettetevi la crema solare, [nel frattempo] noi faremo l'inventario delle case danneggiate e [grazie all'esercito] impediremo che si verifichino episodi di sciacallaggio.»
Silvio Berlusconi, tendopoli di San Demetrio (L’Aquila), 7 aprile

Certe cose, talvolta, non abbisognano di commenti.

domenica 6 gennaio 2008

Il Grande Inganno - questo sconosciuto

Il Grande Inganno, sapete cos'è?
E' una disinformazione coatta inculcata da quella che Veblen chiamò "La classe agiata", atta ad ingrassare quest'ultima a scapito della maggioranza (disinformata). Faccio un esempio concreto.
Sapete quanto costa in termini di risorse produrre un automobile? Per produrre un'utilitaria occorrono all'incirca (dati reperiti da chi si occupa di ambientalismo):
1) 200 tonnellate di acqua;
2) 15.000 litri di combustibili fossili per l'energia del ciclo produttivo (con cui una normale utilitaria anche euro 0, percorrerebbe almeno 200.000 km);
3) le auto sono fatte in gran parte di plastica, hanno una batteria, 5 pneumatici, ecc...
Cosa vuol dire tutto ciò?
Che se qualcuno di voi avesse intenzione di cambiare auto per inquinare meno, inquinerebbe meno con le sole emissioni della nuova automobile, ma mostruosamente di più con l'inquinamento prodotto per fabbricarla! (e nel calcolo non è computato il costo ambientale di smaltimento del vecchio veicolo...)
Quando un comune vieta il transito a vetture vecchie e inquinanti, che risultato ottiene, se chi vuole circolare è "costretto" a cambiare auto? Avremo un mondo più o meno inquinato?
Cos'è un Grande Inganno, allora?

BUON ANNO A TUTTI

mercoledì 21 novembre 2007

Sfogo d'artista - L'Ecopass

Ci risiamo. L'ennesima fregatura ai danni del povero cittadino. E' arrivato l'Ecopass, la soluzione all'inquinamento. Notizie più precise le trovate sul Corriere della Sera.
Io pensavo che bastasse pagare il bollo (tassa di circolazione) per circolare, e invece... e invece adesso per entrare a Milano devi pagare l'Ecopass, proporzionale non al reddito (e ci mancherebbe, mica nella costituzione c'è un articolo, che so, il 53, che dice che Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva) ma al tipo di motore (ergo chi ha la macchina nuova paga meno, chi non ha i soldi per cambiare macchina paga di più, quando pensavo all'incentivo ai consumi non mi era venuta in mente una cosa così diabolica!).
Mi sembra tuttavia giusto che chi inquina di più paghi di più, d'altronde, cari milanesi, potevate scegliere un'auto ad acqua, ad aria, elettrica, a pedali, quando siete andati a comprarla! E invece no, vi siete ostinati sui soli modelli a carburante fossile. Birichini.
VOGLIAMO LE AUTO CHE INQUINANO! Le sento le grida di voi consumatori, arrivano sino a qua. VOGLIAMO PAGARE IL PEROLIO 100 DOLLARI AL BARILE!
Già, dopo queste dichiarazioni come può venirvi in mente di far modificare le centraline delle vetture diesel o benzina ed alimentarle ad olio di semi di girasole o ad alcool di canna da zucchero, non sia mai che la macchina non inquini (ed evadiate l'accisa sui carburanti). No, per l'amor del cielo, non sia mai, d'altronde volete che la FIAT produca un modello ibrido alcool-benzina? E dove la trova tutta quella tecnologia? Magari la inventa davvero e finisce che la vende, ma in Brasile soltanto. La macchina deve inquinare, altrimenti come si fa a far sentire in colpa il povero cittadino? Tu inquini! Tu, proprio tu, non chi ti ha venduto la macchina, non chi ti obbliga ad usare il petrolio. TU!
Però in fondo mi trovo d'accordo col comune di Milano, è giusto far pagare chi inquina. Anzi, suggerisco un correttivo all'Ecopass: non solo estendetelo a tutte le città italiane, ma migliorate la fatturazione: quando una vettura entra in una zona soggetta ad Ecopass, prendetele targa, modello e marca di carburante usato. Poi spedite la fattura dell'Ecopass al costruttore di automobili e all'azienda petrolifera. Fate pagare a chi produce, i danni dei prodotti che vende, non a chi li usa, che è vittima di politiche aziendali cui non partecipa.
Provateci, e dal giorno dopo non avremo più veicoli che inquinano, ci scommetto. Ma forse è per questo che non viene fatto, perché l'inquinamento è un business. Sbaglio o la Moratti ha parenti petrolieri?
Un saluto

mercoledì 25 luglio 2007

Lo sfogo dell'artista - disgustorama

Vi racconterò una storia. Lo faccio per sfogarmi e perché capita che, in Italia e molto spesso, accade che ogni tanto vincano i cattivi.
La storia mi vede come protagonista. Un protagonista che odia le righe blu. E' più forte di me. Non riesco a concepire l'idea di dover pagare qualcosa che è mio. E ancor di più non sopporto la faccia tosta di quelle amministrazioni comunali che, inventandole per batter cassa, sfoggiano un sorriso ipocrita vantandosi del fatto che sono necessarie per garantire il (poco) parcheggio alle (molte) macchine. Metterci un bel disco orario, che è sempre esistito, neanche per idea. Forse perché è gratuito?
Comunque, la storia vuole che le città italiane si siano riempite di righe blu.
Il fatto che io abbia un viscerale odio per questa pratica mi ha portato ad "inventarmi" soluzioni di parcheggio che schivassero le righe blu come si cerca di schivare un brutto male (e niente parcheggi folli, semplicemente parcheggiando in buchi orfani di tali rigacce). Risultato? Tutto bene (per mesi!) fino all'inizio di luglio.
Ho ricevuto due belle multine perché l'articolo 157/5/8 sostiene che se ci sono le righe di parcheggio segnate non si può parcheggiare fuori da quegli spazi. Non importa che non ci sia il divieto di sosta o che si rispetti tutto il resto del codice, le righe piccole, questi due piccoli commi, salvano le righe blu.
Solo che il sottoscritto non si arrende a questa cosa e fa due piccoli controlli. E scopre che innanzitutto le righe blu devono essere fuori dalla carreggiata (articolo 7 comma 6) e inoltre dove ci sono righe blu devono esserci anche spazi adibiti a parcheggio libero (articolo 7 comma 8). Come ulteriore rinforzo a questa situazione, la sentenza 116 della Cassazione stabilisce che le multe date in aree con sosta a pagamento che non prevedano parcheggio libero sono nulle. NULLE. Le righe blu devono essere fuori dalla carreggiata e devono essere affiancate da zone a parcheggio libero.
Bene, a Parma il 90% delle righe blu non rientra nella legalità, sono all'interno della carreggiata e non sono provviste di aree di sosta libere.
Ho tutte le carte in regola per fare ricorso a un giudice di pace e farmi annullare le multe. Solo che tra una cosa e l'altra, per ricorrere al giudice di pace tra tempo, fotocopie, raccomandate, eccetera, spenderei più che a pagarle!
Complimenti, bel trucco: le righe blu permangono, tanto fare anche un ricorso legittimo costa più che pagare 36 Euro...
Se esistessro parole in italiano per descrivere un comportamento tale da parte della municipalità, non sarebbero di sicuro belle.
Una cosa è certa: se alle prossime elezioni contro l'attuale sindaco di Parma, che era l'assessore alla viabilità della precedente giunta (ah, destino beffardo!), dovesse correre contro il diavolo, di sicuro voterò il diavolo.
Ormai non credo neppure che partecipare al Vaffanculo-Day di Beppe Grillo riuscirà a risollevarmi il morale.
Un saluto, incazzato.

PS: la foto è del 17 ottobre 2004. I vigili erano davanti al mio garage, in divieto di fermata e nei pressi di un ufficio postale. L'auto era messa talmente bene che i pedoni erano costretti ad usare la strada, per circolare. Loro fanno quello che vogliono, loro.