giovedì 24 luglio 2008

Starship Troopers

Continuo con le mie "affascinanti" recensioni. Starship Troopers l'ho letto in un due giorni. E come non mi capitava da tempo, non ho avuto bisogno di appuntarmi alcuna parola sconosciuta: la prosa di Heinlein è agile, snella ma precisa.
Io ero un fan del film e quindi ho letto il libro ma occorre puntualizzare immediatamente che sono due cose mostruosamente diverse. Il film era un film antimilitarista per eccellenza, il libro finisce per esserlo ma non volontariamente. Il libro è scritto in prima persona e racconta l'esperienza di Rico, che firma la leva volontaria per entrare nell'esercito ed esercitare il diritto di voto e guadagnare la cittadinanza (perché soltanto chi ha ha scelto e rischiato di perdere la vita nel proteggere la società ha compreso quello spirito di unità e di gruppo necessario per amministrarla, questa la spiegazione dei personaggi al sistema politico terrestre). Il libro è per metà un buon libro di fantascienza con spunti geniali, e per metà lo sforzo dell'autore di esprimere la sua visione del mondo, delle istituzioni, della politica, della società. Pane per i miei denti, insomma.
Allora, tutto cò che riguarda la parte in cui Heinlein dipinge il suo affresco fantascientifico è meravigliosa, anche se si sofferma troppo spesso (a mio avviso) sul raccontare invece che sul mostrare qualcosa. Il finale invece, spurio di flash-back e dedicato tutto all'azione, l'ho trovato più coinvolgente. Non più bella o più meritevole, attenzione, soltanto più coinvolgente.
Veniamo invece alla filosofia militarista veicolata dal romanzo. Non conosco le idee politiche di Heinlein e non ho voglia di andarmi a cercare la sua biografia, mi interessa soltanto quel che passa con la sua opera (sono un po' troppo svogliato di questi tempi). Secondo me il militarismo di Starship Troopers fa il giro (non come nel film, volutamente autoironico): in certi punti Heinlein parte per la tangente e le prese di posizione di Rico diventano talmente estreme e grottesche da sortire l'effetto opposto. E se nel film appare evidente che il militarismo venga preso per i fondelli, il libro non è così esplicito. Da certe elucubrazioni di Rico il militarismo ne esce canzonato, ma non quanto servirebbe per capire se è una parodia o meno.
A questo punto ho formulato alcune ipotesi.
La prima è che il libro sia antimilitarista ma che Heinlein sia stato avaro con l'ironia.
L'idea l'ho abbandonata quasi subito per maturare quella che invece il libro sia militarista e Heinlein abbia veicolato quest'ideologia (oso l'utilizzo di questo termine) talmente bene che a tratti mostra tutti i propri limiti.
A questo punto ho formulato il mio personale giudizio: il libro è militarista ma sortisce l'effetto contrario perché l'ideologia che veicola è determinata a un contesto fantascientifico che ha poco o nulla a che vedere con la realtà. E' come La città del sole di Tommaso Campanella: descrive una società perfetta e nella sua perfezione, rendendola però distante ed irrealizzabile proprio in virtù di una perfezione che non è umanamente raggiungibile.
Nella Federazione tratteggiata da Heinlein, i militari hanno il compito di proteggere i civili che lavorano e producono ma che non hanno diritto di voto, i militari combattono ed amministrano la vita pubblica e rivolte non sono possibili perché gli unici che avrebbero preparazione militare fanno parte dell'esercito e hanno già diritto di voto. Il condizionamento sociale è di tipo pavloviano e i cittadini hanno capito che ubbidire è saggio ( purtroppo, e non sono io a dirlo, nella realtà c'è altro oltre al nesso azione-reazione).
Insomma se era un manifesto al militarismo non è riuscito proprio bene, a mio modesto avviso. Rimane, e per una buona metà, un capolavoro della fantascienza.
Alla prossima

martedì 15 luglio 2008

Troppi progetti?

Come siamo messi? Piccolo punto della situazione.
A breve arriveranno altre recensioni, il tempo di raccogliere le idee. Per i progetti di scrittura, invece?
Allora, inzierei con La tela. Marco ha dato una bella sberla al finale, ora sono io che devo conciare per le feste l'epilogo. Sarà dura, entro giovedì. Dopo questa però, quasi riusciamo a fare un file unico unendo tutti i capitoli per poi rileggere il tutto. Scrivere Uomini in bilico non è stato così faticoso, accidenti!
De IDST è iniziata la fase di etiditing e sono cominciati i primi tagli, le prime ristesure e le prime aggiunte. Il risultato è ottimo.
Ho cominciato il prologo del seguito de ISDT. Naturalmente sarà uno dei due sigilli rimasti. Quale?
Il lavoro al giallo/fantasy si è interrotto per qualche settimana a favore delle ricerche e della stesura dei primi capitoli di un med-fantasy del tutto particolare, qualcosa che strizza l'occhio al romanzo storico infarcendolo con le caratteristiche tipiche del fantasy.
Ho cominciato anche a buttar giù dei capitolo due romanzi con protagonisti i mannari, anche se totalmente differenti, uno è un fantasy e l'altro è un romanzo storico che prende spunto da un avvenimento legato alla seconda crociata. Ho definito i protagonisti, qualche battuta, il background e poi ho lasciato tutto lì per correggere ISDT, poi sono tornato al giallo/fantasy con rinnovato vigore.
Il tempo materiale per scrivere si accorcia sempre di più. Ora non ho più soltanto un prato da tosare di tanto in tanto, ho un acero, un olivo e la siepe. A questo aggiungiamo che quelle streghe (in senso buono) delle mie sorelle mi hanno regalato la pedana del Wii! Maledizione, devo ancora provare la sfida delle flessioni con l'allenatore virtuale!
Forse con un part-time potrei farcela...

lunedì 7 luglio 2008

La rocca dei silenzi

Ammonthàd, La rocca dei Silenzi, un luogo dove sono custodi immensi tesori da orde di demoni inferociti. Le prime domande e i primi dubbi che mi sono sorti spontanei sulla rocca sono stati sciolti dalla lettura, c'è un perché alle cose. Thal Dòm dovrebbe essere il protagonista (e dico dovrebbe perché in seguito smentirò questa cosa) della vicenda. E' un mago rovinato da una spedizione ad Ammonthad che, convocato dalla Torre di Dòthrom per una nuova spedizione verso la Rocca dei Silenzi viene a scoprire gli intrighi e le verità che nemmeno immaginava gratvitare non solo intorno alla Rocca ma anche intorno alla Torre, riferimento e scuola di magia per i Regni di tutto il mondo.
Viene organizzata una spedizione (suicida) che dovrà scoprire il punto debole dei demoni affinché una seconda spedizione possa affrontarli con successo. Vengono inviti messi in tutte le terre per reclutare i migliori mercenari per organizzare la missione (suicida sempre, che avrebbe garantito alla spedizione successiva il buon esito).
Subito mi sono sorti molteplici dubbi. Perché mercenari e non reparti organizzati, perché affrontare i demoni con attacchi a macchia di leopardo e non con una bella linea di opliti? Alla fine ho compreso tutto. E in effetti, lo ribadisco ancora, occorre fidarsi dell'autore.
Andrea d'Angelo scrive un fantasy strano. Già, è strano perché non ho mai letto un libro con dei personaggi tanto viscidi e scostanti. Tutti, non solo gli antagonisti! Ad essere onesti uno o due se ne salvano (ma per sbaglio, credo). C'è comunque un motivo se i personaggi sono tutti odiosi, a mio avviso, ed è un motivo letterario: la vera protagonista della vicenda è la vicenda stessa. E il focus sui fatti e sul loro significato poteva essere dato soltanto evitando personaggi che consentissero immedesimazione. Rimane il fatto che non affezionarsi ai personaggi crei un po' di fastidio.
Poco belle alcune scelte linguistiche.
"Fruitori di magia" l'ho trovato scomodo come sinonimo di mago/stregone, anche se corretto, poteva essere usato nei dialoghi e non nella narrazione per dare maggior spessore ai maghi.
Ascia "bilama" è linguisticamente corretto, anche se l'aggettivo è usato più per le spade che per le asce il cui aggettivo specifico è "bipenne".
Le due peculiarità linguistiche non rovinano la lettura, sono dettagli. Brooks chiama "gnomi" quelli che alla descrizione appaiono come perfetti "goblin", se vuole chiamarli in modo diverso ne prendo atto, se storco la bocca sono affari miei.
Perdonatemi se divago un attimo: ho letto numerosi commenti e post sull'impiego e sulla contestualizzazione dei termini nei fantasy. Che deve fare un autore, scrivere le battute in elfico per gli elfi (e fornire la traduzione in appendice)? Può usare nella narrazione il termine "machiavellico"? Può usare "pantagruelico"? Può usare "psicologico"? Può usare "giunonico", "adone", "gioviale", "marziale" anche se derivano dal classicismo greco? Insomma se un autore deve scrivere in italiano i termini sono quelli dell'italiano! Arrendiamoci sui vocaboli della narrazione, quel che riguarda le battute è, invece, un altro discorso: sarebbe fuori luogo un goblin che invece che "il carro di quel nano invasato è irraggiungibile" dicesse "ehi cumpa, il bolide di quel truzzo ci ha dato la paga: scheggia come un missile" (ogni volta che la rileggo però mi piace sempre di più!).
Ad effetto gli inserimenti dei numerosi (e spietati) pensieri che i personaggi pensano l'uno dell'altro anche se un gruppo composto da questi individui è davvero poco verosimile: se tutti diffidano di tutti, come può proseguire la spedizione?
Alcune situazioni poi sono paradossali e certi personaggi fanno cose assolutamente fuori dal normale. Una delle più importanti maghe della Torre di Dòthrom (che fa parte di un complotto e dovrebbe essere svezzata a tale arte) si reca in colloquio privato con una rinomata assassina esperta di veleni, nei suoi appartamenti. Senza dire a nessuno dove va, senza prendere precauzioni, da sola! La conclusione darwiniana del siparietto è logica, è l'avvenimento in sé che a mio avviso è illogico.
Altre cose non tornano: se foste un mago che deve usare molti incantesimi, affidereste la protezione della vostra vita ad un guerriero che vi vuole fare la pelle? Io soltanto se ne fossi costretto, e in ogni modo avrei un piano d'emergenza o un trucco per sopravvivere, in alternativa "muoia Sansone con tutti i filistei".
Insomma, è vero che la grande protagonista è la storia ma questo si evince anche dal fatto che gli altri protagonisti lo sono in funzione di questa e durano lo stretto necessario a svelarla.
L'epilogo rasenta il più acuto pessimismo riguardo alla "teoria dei complotti" ma mi trova assolutamente d'accordo: non poteva finire altrimenti, bravo Andrea (ti do del tu). che non ti sei lasciato prendere dal buonismo! Può non piacere ma è giusto così.
D'Angelo poi ha una scrittura evocativa e ricercata (con qualche eccesso, talvolta). Da leggere se volete qualcosa di spietato.

venerdì 4 luglio 2008

I delitti del mosaico

Inauguro con il libro di Giulio Leoni una nuova sezione del mio blog, le recensioni.
Non conosco Giulio Leoni di persona soltanto per una sfortuna, altrimenti ci saremmo visti a Mangia come scrivi, a Montechiarugolo, a maggio. Peccato, avrei discusso volentieri con lui dell'esperienza di scrivere un romanzo storico oltre che a parlarne delle sue opere appunto, a Mangia come Scrivi (dove ho letto un estratto di La crociata delle tenebre).
I delitti del mosaico parla di un omicidio avvenuto nella Firenze medievale, delitto che per la sua particolarità viene sottoposto a Dante Alighieri, persona lucida e, direi, moderna rispetto al contesto storico in cui si trova. Non svelo più nulla altrimenti andrei a fare anticipazioni pericolose.
Leoni ha una prosa scorrevole ma forte e tutta la puntualità descrittiva dei gialli (e in effetti IDDM è un giallo-storico), nonché la tensione di scoprire che cosa c'è sotto ai delitti e a chi è l'assassino. Sotto la guida di Leoni ci immergiamo completamente nell'atmosfera di Firenze, nella politica dell'epoca, nei giochi di poteri, nel conflittuale rapporto tra la Chiesa e Firenze e tra l'Alighieri e il Papa.
IDDM è intrigante e ha il pregio di una ricostruzione storica affascinante e puntuale, la cosa che mi ha stupito e che secondo me soltanto pochi sapranno apprezzare è il lavoro oscuro che c'è alla base. L'ho detto anche a Mangia come scrivi: scrivere un romanzo storico implica allo scrittore una ricerca storica senza precedenti (anch'io ci sono in mezzo con alcune opere), una fase di documentazione a 360 gradi. Leoni ha l'abilità di far convivere realtà storica con finzione narrativa senza inganni. Lo stesso Dante Alighieri assume un'umanità nuova, con i suoi pregi e difetti ed è un personaggio che lascia il segno (può piacere oppure no, ma non verrà sicuramente dimenticato), così come lascia il segno l'apparizione di uno splendido Cecco Angiolieri.
Citati i pregi passo ora a fare le pulci al romanzo. Non amo i gialli (e forse ne sto pure scrivendo uno, ma è fantasy, dai!), il romanzo mi è piaciuto ma ho trovato un difetto che mi ha fatto storcere il naso: già, perché secondo me ha il difetto di finire per una fortuita casualità! Dante si comporta come un investigatore razionale (illuminato oserei dire) eppure arriva alla soluzione del caso soltanto per una coincidenza che ha tutto l'aspetto di un escamottage letterario. L'effettiva piega degli eventi e della narrazione non l'avrebbero mai portato a scoprire il colpevole anche se i suoi sospetti erano ben indirizzati.
A parte questa considerazione rimane comunque una lettura coinvolgente e ricca di spunti. Non posso che consigliarlo anche a chi, come me, non è appassionato dei gialli.