lunedì 7 luglio 2008

La rocca dei silenzi

Ammonthàd, La rocca dei Silenzi, un luogo dove sono custodi immensi tesori da orde di demoni inferociti. Le prime domande e i primi dubbi che mi sono sorti spontanei sulla rocca sono stati sciolti dalla lettura, c'è un perché alle cose. Thal Dòm dovrebbe essere il protagonista (e dico dovrebbe perché in seguito smentirò questa cosa) della vicenda. E' un mago rovinato da una spedizione ad Ammonthad che, convocato dalla Torre di Dòthrom per una nuova spedizione verso la Rocca dei Silenzi viene a scoprire gli intrighi e le verità che nemmeno immaginava gratvitare non solo intorno alla Rocca ma anche intorno alla Torre, riferimento e scuola di magia per i Regni di tutto il mondo.
Viene organizzata una spedizione (suicida) che dovrà scoprire il punto debole dei demoni affinché una seconda spedizione possa affrontarli con successo. Vengono inviti messi in tutte le terre per reclutare i migliori mercenari per organizzare la missione (suicida sempre, che avrebbe garantito alla spedizione successiva il buon esito).
Subito mi sono sorti molteplici dubbi. Perché mercenari e non reparti organizzati, perché affrontare i demoni con attacchi a macchia di leopardo e non con una bella linea di opliti? Alla fine ho compreso tutto. E in effetti, lo ribadisco ancora, occorre fidarsi dell'autore.
Andrea d'Angelo scrive un fantasy strano. Già, è strano perché non ho mai letto un libro con dei personaggi tanto viscidi e scostanti. Tutti, non solo gli antagonisti! Ad essere onesti uno o due se ne salvano (ma per sbaglio, credo). C'è comunque un motivo se i personaggi sono tutti odiosi, a mio avviso, ed è un motivo letterario: la vera protagonista della vicenda è la vicenda stessa. E il focus sui fatti e sul loro significato poteva essere dato soltanto evitando personaggi che consentissero immedesimazione. Rimane il fatto che non affezionarsi ai personaggi crei un po' di fastidio.
Poco belle alcune scelte linguistiche.
"Fruitori di magia" l'ho trovato scomodo come sinonimo di mago/stregone, anche se corretto, poteva essere usato nei dialoghi e non nella narrazione per dare maggior spessore ai maghi.
Ascia "bilama" è linguisticamente corretto, anche se l'aggettivo è usato più per le spade che per le asce il cui aggettivo specifico è "bipenne".
Le due peculiarità linguistiche non rovinano la lettura, sono dettagli. Brooks chiama "gnomi" quelli che alla descrizione appaiono come perfetti "goblin", se vuole chiamarli in modo diverso ne prendo atto, se storco la bocca sono affari miei.
Perdonatemi se divago un attimo: ho letto numerosi commenti e post sull'impiego e sulla contestualizzazione dei termini nei fantasy. Che deve fare un autore, scrivere le battute in elfico per gli elfi (e fornire la traduzione in appendice)? Può usare nella narrazione il termine "machiavellico"? Può usare "pantagruelico"? Può usare "psicologico"? Può usare "giunonico", "adone", "gioviale", "marziale" anche se derivano dal classicismo greco? Insomma se un autore deve scrivere in italiano i termini sono quelli dell'italiano! Arrendiamoci sui vocaboli della narrazione, quel che riguarda le battute è, invece, un altro discorso: sarebbe fuori luogo un goblin che invece che "il carro di quel nano invasato è irraggiungibile" dicesse "ehi cumpa, il bolide di quel truzzo ci ha dato la paga: scheggia come un missile" (ogni volta che la rileggo però mi piace sempre di più!).
Ad effetto gli inserimenti dei numerosi (e spietati) pensieri che i personaggi pensano l'uno dell'altro anche se un gruppo composto da questi individui è davvero poco verosimile: se tutti diffidano di tutti, come può proseguire la spedizione?
Alcune situazioni poi sono paradossali e certi personaggi fanno cose assolutamente fuori dal normale. Una delle più importanti maghe della Torre di Dòthrom (che fa parte di un complotto e dovrebbe essere svezzata a tale arte) si reca in colloquio privato con una rinomata assassina esperta di veleni, nei suoi appartamenti. Senza dire a nessuno dove va, senza prendere precauzioni, da sola! La conclusione darwiniana del siparietto è logica, è l'avvenimento in sé che a mio avviso è illogico.
Altre cose non tornano: se foste un mago che deve usare molti incantesimi, affidereste la protezione della vostra vita ad un guerriero che vi vuole fare la pelle? Io soltanto se ne fossi costretto, e in ogni modo avrei un piano d'emergenza o un trucco per sopravvivere, in alternativa "muoia Sansone con tutti i filistei".
Insomma, è vero che la grande protagonista è la storia ma questo si evince anche dal fatto che gli altri protagonisti lo sono in funzione di questa e durano lo stretto necessario a svelarla.
L'epilogo rasenta il più acuto pessimismo riguardo alla "teoria dei complotti" ma mi trova assolutamente d'accordo: non poteva finire altrimenti, bravo Andrea (ti do del tu). che non ti sei lasciato prendere dal buonismo! Può non piacere ma è giusto così.
D'Angelo poi ha una scrittura evocativa e ricercata (con qualche eccesso, talvolta). Da leggere se volete qualcosa di spietato.

12 commenti:

Parao ha detto...

Grazie per avermi acquistato e letto, Uberto.
Riguardo alla tua interpretazione del romanzo, però, sono in totale disaccordo. Il romanzo è un romanzo di personaggi, con una storia quasi debole (lineare). E proprio nel tuo giudizio "viscidi e scostanti" vedo la profonda differenza con cui guardiamo ai personaggi (alle persone?). A me dei soliti personaggi, tutt'altro che verosimili, perché troppo buoni, privi di malizia, privi di cattivi pensieri, sempre pronti a immolarsi pur di avere ragione o per principi assurdi, ecco... a me quello è sempre sembrato inverosimile.
Ma, naturalmente, rispetto l'opinione di un lettore.
Come autore, dubiterei di quanto fatto nel leggere la tua "recensione", se non fosse che ho avuto molteplici conferme (non cercate) di non essere il solo a comprendere nel profondo questi personaggi (il cui unico difetto è di essere troppo aderenti alla realtà - e non sto parlando della caratterizzazione, che m'è riuscita piuttosto bene, ma non con tutti).

"Fruitore di magia" e "bilama", associati allo stesso testo, mi ricordano molto il tipo di analisi che i GamberiFantasy applicano ai testi. Soprassiedo, perché in una "recensione" che sorvola su cose molto più importanti questo mi sembra il classico "far caso al capello".
"Bilama", in ogni caso, è proprio sbagliato. Andava scritto "bipenne" e basta. Come "nanesco": andava scritto "nanico".

Grazie ancora per la lettura.

Ho il tuo romanzo sulla libreria, assieme agli altri due fantasy Asengard. Mi piacerebbe leggerlo presto (perché mi attrae), ma devo attendere altre letture.

Uberto Ceretoli ha detto...

Grazie per il commento Andrea. Io nel tuo romanzo ho visto molto del mondo moderno (dalla vicenda della Monsanto che fa modifiche genetiche ai semi del grano e paga i governi affinché diano sovvenzioni a chi li usa), ma questo credo sia perché ognuno tende inevitabilmente a fare associazioni con quello che legge e con il mondo reale.
Per quanto riguarda i personaggi non posso che trovarmi d'accordo con te, anch'io odio principi azzurri senza macchia e senza paura che affrontano il MALE per liberare una principesa e ce ne è fin troppi in giro. Però, allo stesso tempo, mi è risultato difficile digerire un gruppo dove soltanto l'elfa risultava conciliante con le necessità altrui, tutto qui. Comunque non ti preoccupare, i personaggi sono caratterizzati bene e la lettura è stata comunque una bella esperienza, diversa almeno dal solito, e questo secondo me è l'importante. Ho sperato fino in fondo che Vòrak non si vendicasse ma ahimé è accaduto. Peccato.
E' stato qualche giorno fa che, cercando in rete "ascia bilama" (e per mera curiosità linguistica), ho cozzato contro gamberi-fantasy. Però ti assicuro che "bilama" e "fruitori di magia" spiccano davvero (anche perché sono proprio le uniche due stranezze). Ho notato che i "gamberetti" criticavano anche l'uso di "psicologici", e lo dico perché qualcuno ha mosso a me la medesima critica, così come mi hanno detto che era fuoriluogo l'appellativo "ultimo dei genetisti". L'ho scritto in un altro mio post: il lettore non si fida dello scrittore. E non si fida, credo, perché ognuno vorrebbe scrivere e guarda agli autori italiani con invidia e sospetto. Troppa invidia e troppo sospetto.
Se uno scrittore usa "psicologici" e "genetisti" vuol dire che ha un senso, bisogna fidarsi.
"Nanesco" è sbagliato?! Credo di averlo usato in un paio di occasioni, mi urge fare un controllo!
In bocca al lupo per i tuoi progetti.
A proposito, te lo dico amichevolmente: sei un vigliacco! :-)
Che fine hanno fatto Vòrak (che voleva vendicarsi) e l'elfa con il suo amore "resuscitato"? Immagino di non dover aggiungere che m'aspetto un seguito (l'ho aggiunto!). E so anche che ci stai già lavorando...

Parao ha detto...

Mah, guarda, visto che qui sono tra "amici" (nel senso che non dovrebbero esserci pregiudizi tra autori: sappiamo di cosa stiamo parlando piuttosto bene, direi), posso spiegare il "fruitori di Magia" in modo molto semplice. E' una semplice scelta d'ambientazione, perché non è detto che in qualsiasi mondo esistente l'uso del termine "magia" implichi un "maghi", anche se è più naturale così (ovvio). Inoltre, "fruitore di Magia" rendeva perfettamente l'idea della grande burocrazia interna alla Torre di Dòthrom (che ho abbozzato qui e là, con la figura di... usti, non mi ricordo il nome adesso: il burocrate che finisce per impazzire). Chiaro, sono due pensieri sottili. Ma posso assicurarti che l'autore non ha preteso dal lettore comprensione in questo. Sono quel tipo di scrittore che in certe scelte conosce perfettamente il rischio (anzi, la certezza di non essere compreso), ma che nel contempo tira dritto per la sua strada. Anche perché - questo è il bello della scrittura (cosa che avrai scoperto anche tu, di recente) - con i lettori più in sintonia si apre un dialogo tale per cui tutto è spiegabile, tutto è analizzabili, fin nei minimi dettagli (proprio perché manca, per l'appunto, quella malizia e malafede che spesso c'è in chi, invece, si mette di traverso per svariati motivi - di piccolezza umana).

Riguardo ai personaggi, be', io non parlavo di casi così smaccatamente stereotipati. Parlavo di tanti personaggi - che piacciono pure - e che a me invece sembrano sempre mancare della complessità, spesso oscura e patologica, degli esseri umani reali. In questo io sono sistematico, quasi diabolico: non do scampo ai miei personaggi, che hanno difetti reali (non il classico difetto creato per dargli spessore). Ne hanno tanti e pesanti. Come abbiano fatto a stare assieme quei disperati lassù, tra i Monti Metallo? La risposta è semplice: non ce l'hanno fatta più di tanto. Sono stati male, litigando, tradendosi, dubitando fino a uccidere nell'errore (credendo l'altro nella malafede), scappando e abbandonando gli altri a se stessi, incuranti delle conseguenze. Insomma, a me sinceramente non m'è parso che siano stati così uniti. E se essere uniti significa soltanto scendere sempre più giù nella tenebra di Ammothàd, be'... per quello bastava lo spirito di sopravvivenza (ecco come fa la spedizione a resistere nel tempo: egoismo personale): tutti avevano un motivo per scendere, scendere in compagnia è più sicuro!
Non so se riesco a rendere il mio pensiero in merito.

Nanesco è usato qui e là, ma direi che il termine originario e corretto è "nanico". Se l'hai già usato nel tuo primo volume, per coerenza all'interno dell'opera - che se non sbaglio è tutta legata - dovresti continuare a usarlo negli stessi frangenti, direi.

Grazie a te per il dialogo interessante.

Bruno ha detto...

>Se uno scrittore usa "psicologici" e "genetisti" vuol dire che ha un senso, bisogna fidarsi.

Oddio, qui il post è relativo alla Rocca dei Silenzi e il mio commento sarà off-topic, ma colgo ugualmente l'occasione per dire la mia perché sento la necessità di dare una spiegazione. Nella recensione (del mio blog) sul "Sigillo del Vento" una delle mie osservazioni era proprio sul termine "genetista," ma come scrissi, non era per scarsa fiducia sul senso del termine nel libro, ma per un personale parere sul cattivo effetto che l'uso di quel termine possa avere su un'atmosfera fantasy.

Chiaramente in un libro fantasy se lo scrittore accenna a qualcosa di stravagante o anacronistico o impossibile, potrebbe avere il modo di rendere poi le dovute spiegazioni. In questo senso è certamente giusta la contro-critica di Uberto Ceretoli: se il lettore (o il critico) fanno la "caccia all'errore" si scaglieranno contro certi termini che possono semplicemente essere lì per volontà stilistica (dell'autore) di spiegare poco, o parzialmente, quello di cui si offre un vago accenno.
Un'opera abbondante di questi rimandi oscuri e incomprensibili è ad esempio la serie del Nuovo Sole di Gene Wolffe, uno dei maggiori scrittori fantasy moderni. Spesso confonde il lettore. Ma non è detto che tutto ciò che lo scrittore non ci fa capire possiamo addebitarglielo come errore.

E non è detto che i dubbi si risolvano subito, visto che i libri raramente sono conclusivi, spesso rimandano al seguito della saga, ecc...

Resta il problema che a volte un termine può intaccare l'atmosfera di un libro: ovviamente qui siamo nel campo dell'opinabile e del gusto personale, ma sto parlando appunto della mia opinione, che potrà essere condivisa o meno da altri: so benissimo che molti si leggeranno tranquillamente il termine genetista in un libro fantasy senza alcun problema, penso però che altri la vedranno come me.

Se questo rischio può esserci, ovvero che l'atmosfera del fantasy sia danneggiata, allora rimane a mio avviso consigliabile scegliere di 1-dare subito spiegazioni, rinunciando a mantenersi nel vago per ritornare in argomento più avanti, oppure 2-dire quello che si deve dire con un giro di parole che faccia capire di cosa si sta parlando, e che non usi toni e termini anacronistici. Ovvero far capire che l'elfo in questione usa la genetica o qualcosa di paragonabile, evocando la scienza con qualche metafora più fantastica: a questo punto il lettore non può dire che è sbagliato ma dovrà interpretare, o cercare la logica dell'ambientazione che gli è proposta.
E' così nell'opera di Wolffe, dove vediamo navi spaziali, apparecchiature radio e armi a raggi, ma interpretate dagli occhi di un narratore che pensa in termini molto "medievali" (la serie del Nuovo Sole è in effetti un libro di fantascienza dai toni fantasy).

Detto questo, non intendevo dire che lo scrittore non possa lasciare questioni aperte lasciando il lettore volutamente nel dubbio. Se lo fanno grandi autori stranieri, non vedo perché da noi non si possa fare.

Uberto Ceretoli ha detto...

Ciao Bruno, grazie per il post.
Mi spiace se ti sei sentito piccato perché la mia contro-critica non era assolutamente riferita alla tua recensione, che peraltro ho molto apprezzato perché costruttiva. E infatti hai ragione su tutta la linea riguardo all'uso di termini non-contestuali.
Il problema, tuttavia, è che non posso spiegare il perché dell'uso di "genetisti" senza svelare un colpo di scena che mi sono tenuto per molto "tempo fra" e nello stesso tempo mettere la pulce nell'orecchio al lettore.
L'atteggiamento che non condividuo è di coloro che sostengono che "hai fatto un errore", che "non sai scrivere", che "se il fantasy italiano è in rovina è perché ci sono autori come te che non sanno che in un fantasy non si usa genetisti!"
Per la cronaca, ho usato anche "arabaggiante" ma c'era poco da fare, era l'unico aggettivo che potevo usare perché era anche l'unico che rendesse l'idea - però questo non me l'hanno beccato!
;-)
D'altronde, ho usato anche il termine "marziale" (che deriva da Marte) ma nessuno ha beccato anche questo...
Ecco, Bruno, quando tu leggi qualcosa e ti nascono dei dubbi, vuol dire non solo che ti sei fatto un'idea dell'opera ma che l'hai letta con passione! Se ti domandi il perché di qualcosa, vuol dire che l'autore ha fatto scattare una scintilla!
Altri invece (e a loro erano dirette le contro-critiche) non hanno dubbi: hanno solo maligna diffidenza!
Nel libro di d'Angelo ci sono due viaggi verso Ammònthad e ho letto in rete che qualcuno sostiene che la lunga descrizione dei due viaggi sia inutile perché una ripetizione che fuoriesce dai canoni dello sviluppo canonico della narrazione. Ma dico, dov'è la cosa strana? Sono due viaggi, sono due travagli, è la ripetizione delle stesse paure per qualcuno, è un viaggio diverso per coloro che invece conoscono la verità. E' un passaggio denso di significati e non li avrò sicuramente colti tutti. E' un ripetersi delle stesse sofferenze, è un lento ascendere passo dopo passo, è lo stesso correre inesorabilmente verso la fine che si ripete per i protagonisti. E' una lenta dannazione: forse Andrea voleva mostrarci questo? Perché bisogna pensare che abbia fatto un errore?
E qui mi sorge, spontanea, una domanda: può essere che uno scrittore non appaia un eccellente scrittore (succede, capita, nessuno è perfetto), ma vale la stessa regola per i lettori?
;-)

Parao ha detto...

Bruno è un lettore attento – l’ho notato sin da quando ho iniziato a seguire il suo blog, un po’ di mesi fa. A me, però, sembra semplicemente normale. Ci si dovrebbe invece interrogare su coloro i quali avanzano critiche mal argomentate: che tipo di essere umano sono?

Nei casi di cui parli tu, Uberto, la prima riflessione che mi sovviene è la seguente: due viaggi non è lo sviluppo canonico? Se sei canonico, non sei originale. Se non sei canonico, si lamentano comunque.
La riflessione successiva è anche l’ultima e recita più o meno così: “Non m’interessa il parere di simili ottusi. Il mio grande impegno merita critiche decisamente più profonde, più rispetto”.
Dopo oltre sei anni di pubblico ludibrio, Uberto e Bruno, io tiro dritto e ascolto soltanto le critiche intelligenti - che sono la netta, nettissima minoranza.
Amen. :)

Bruno ha detto...

Alla puntualizzazione ci tenevo perché non voglio essere frainteso come quello che spara a zero "per il gusto di," ma in effetti non ero certo di essere tirato in ballo. Però il problema sui commenti e sui commentatori esiste: in un ambiente piccolo dove la metà dei lettori è anche autore o aspirante tale, e dove tanti si sentono la verità assoluta in tasca, dove il minimo difetto diventa condanna inappellabile, allora non solo è difficile che un autore riceva un feedback utile (che poi gli interessi riceverlo è un altro conto, ma non darei per scontato che non gli serva), ma è pure difficile che un lettore ricavi una impressione obiettiva su quello che gli italiani scrivono.
Mi dà fastidio, perché esiste già uno snobismo anti-italiano di base nel lettore, mentre vorrei davvero che ci fosse più gente disposta a provare i nostri autori.

Da una parte io ritengo e do per scontato che abbiamo da imparare più o meno tutti e parecchio, e che le critiche ci stiano, dall'altra mi sembra che ci sia un tale compiacimento a evidenziare gli aspetti negativi da disgustare il potenziale lettore. Quale sarà il bel risultato? Continueremo a leggere solo americano?

Uberto Ceretoli ha detto...

Ho paura che un discorso del fantasy italiano (di autori italiani, per la precisione) potrebbe essere interminabile.
Mi limito a constatare che in Italia il fantasy è stato relegato a "genere" per ragazzi e quindi le case editrici che si possono permettere pubblicità e visibilità non puntano sulla qualità. E il discorso della qualità non si può imputare soltanto agli autori ma anche e soprattutto a chi svolge il lavoro di editing.
Per scrivere gli assedi de "Il Sigillo della Terra" ho dovuto studiarmi i manuali di poliercetica, ma questo non toglie che qualcosa mi possa essere sfuggito nelle descrizioni. Chi ha studiato poliercetica per parlare di assedi o stretegia per parlare di una battaglia? Credo che sia normale che qualche errore possa scappare all'autore: per questo con la fase di editing (grazie all'apporto di professionisti di vari settori) le case editrici risolvono gli errori (e gli orrori) degli autori.
Leggiamo fantasy anglosassone perché le case editrici straniere fanno editing seriamente, quelle italiane più blasonate invece puntano sulla quantità e sulla pubblicità, perché il fantasy è un genere per bambini e ai bambini puoi raccontare qualsiasi cosa che non stanno a guardare il pelo nell'uovo.
A un lettore con una certa esperienza non puoi raccontare che una fanciulla imbraccia un arco e l'usa con maestria fin dal primo tiro, oppure che un bimbo impugna una spada e sconfigge un cavaliere, oppure che una città di vecchi, donne e bambini, resiste ad un assedio di soldati professionisti.
I fantasy pieni di strafalcioni esistono e io non me la sento di dare soltanto la colpa agli autori, anche gli editor e le case editrici stanno facendo la loro parte.
Di fronte a una situazione del genere, se il lettore medio perde fiducia nel "fantasy italiano" non so dargli torto.
Certo, se poi il lettore (e do ragione ad Andrea "Parao" d'Angelo) si permette di soffermarsi sull'uso delle parole per valutare lo sforzo di uno scrittore e non immagina che dietro a queste e ai fatti narrati ci sia un messaggio, allora andremo davvero poco lontano.

Parao ha detto...

Uhm... Uberto, sul tuo ultimo intervento ho davvero tanti dubbi. Non ho certezze, ma per esperienza personale non sarei così propenso a dare addosso agli editor delle case editrici più grandi, né alla loro politica.
Ad esempio la Nord della seconda era, quella appartenente al Gruppo Longanesi (quella con cui ho pubblicato l'ultimo romanzo), punta alla qualità, ma con dei criteri ben precisi. Nessuna grande casa editrice (tralasciando Mondadori, che denuncia quanto la condizione di quasi-monopolio distrugga il buono fatto quando raggiunta) si permette pessima qualità a vantaggio della quantità. Semmai scendono a compromessi, spaziano, prediligendo il soldo. Non mi risulta, ad esempio, che il primo fantasy della Rizzoli sia scritto da cani, anzi. Il contenuto è da adolescenti per adolescenti, certo. Ma, accettando la scelta a monte, è un romanzo che m'è sembrato di qualità. Non sempre è così. E non sempre le piccole case editrici sfornano qualità, anzi: vogliamo parlare di traduzioni? Brrr...

La mia esperienza, però, parla chiaro: la mia editor del Gruppo Longanesi (è il terzo gruppo italiano, mica poco, e ora si chiama GeMS - Gruppo editoriale Mauri e Spagnol) è fantastica. Ha lavorato per Longanesi 13 anni, avendo a che fare con gente come Tiziano Terzani per anni - scusate se è poco. E, con tutti i limiti che la mia valutazione può avere, posso assicurarti che ho avuto un editing di gran lunga superiore a quanto ebbi con la Nord prima maniera.
Per mia esperienza, insomma, si rovescia il teorema. Un caso? Può essere. Quel che a me sembra certo, invece, è che gli editor stranieri hanno anche loro dei grossissimi limiti. Alcuni sono bravissimi, altri meglio perderli che trovarli (e oltre tutto "stranieri" è troppo generico: già fra statunitensi e inglesi c'è un abisso, a favore dei secondi).

La verità è che per ottenere un ottimo prodotto è necessario un ottimo lavoro da parte di tutti, nonché, a fine catena, un ottimo lettore tutt'altro che prevenuto.

Uberto Ceretoli ha detto...

Saranno i lettori allora?
Ad Arezzo il Capitano del Popolo durante il periodo comunale veniva reclutato tra gli "stranieri" perché non avesse a che fare con gli intrighi locali.
Che allora il fantasy in Italia risenta di un fattore psicologico indotto? Che il lettore pensi "se questo vende in America deve per forsa aver scritto qualcosa di valido"?
Nemo profeta in patria, dunque? Puo' darsi.
Io ho letto "Orchi - I guerrieri del tuono" e i seguiti e li ho trovati zeppi di ingenuità e con un finale che proprio non ci sta. E' buono il ritmo e la narrazione ma il finale proprio no. Nemmeno gli stranieri sono esenti da errori.
Forse diffidiamo dei "prodotti" locali perché siamo davvero prevenuti.
Speravo tanto che le leggi della pubblicità non s'adattassero così spudoratamente anche al mercato librario. Certo che se la spiegazione è questa, allora la vedo dura!

Parao ha detto...

Non so, Uberto. Penso che ormai molti sappiano di me che non sono affatto tenero con i lettori italiani, anzi. Ma non credo proprio si possa usarli come capro espiatorio universale. Sono abbastanza spesso immaturi, ma la colpa non è soltanto loro, è anche di un Paese che culturalmente è rimasto a Croce e al suo giudizio tranciante sul fantastico, il quale, a lungo andare, è tornato come un boomerang, ingenerando un atteggiamento esterofilo schiacciante - inutile porre censure, anche se soltanto per mezzo di critici "illuminati": la cultura filtra lo stesso ed è figlia dei tempi; tentare di arginarla è come sperare di controllare il tempo atmosferico.

Dico che è necessario valutare caso per caso, non giudicare senza sapere ed evitare preconcetti - sia positivi che negativi, sia ben chiaro. Questo sano atteggiamento mentale, però, tutti sappiamo che è difficile da applicare alla vita in generale. Non giudicare dall'apparenza è qualcosa che molti di noi non riescono a fare e non soltanto relativamente ai romanzi. Infatti non è un caso che la principale caratteristica dei detrattori è attaccare la persona scrittore, anziché lo scritto - i detrattori sono ben distanti dai lettori che avanzano critiche negative con rispetto ed educazione, abbiano ragione o meno poco importa.

Circa gli stranieri, è indubitabile che "lì fuori" vi siano autori ben più grandi di noi italiani. Ma quanti sono? Una nettissima minoranza. Gli altri sono bravi quanto i migliori di noi e, molto spesso, davvero illeggibili da una persona che abbia esperienza vera di Fantasy (che abbia, cioè, un sacco di letture importanti alle spalle).
Quale degli autori contemporanei può rivaleggiare con Tolkien, Moorcock, Gemmell, Howard, Le Guin, Vance, Cook, eccetera, nei rispettivi sottogeneri? Pochissimi e sono conosciuti come i grandi tra gli stranieri. Una manciata di autori: Martin, Erikson, Mieville, Pratchett (dicono, a me non piace affatto), Jordan.
Personalmente non mi sento inferiore ai vari autori stranieri, se si escludono i pochi grandi. Anzi, spesso mi sento migliore, più profondo, più originale, più personale (e quindi anche meno commerciale, cosa che non ho ancora deciso se sia un pregio o un difetto... e non lo capirò mai, temo).
Insomma, noi italiani viviamo circondati dal pregiudizio, ma in media dobbiamo ancora crescere. E ci mancherebbe: è da pochissimi anni che c'è davvero la possibilità di crescere professionalmente, pubblicando. Prima? Una tragedia...

So quello che ho fatto in passato, quello di cui sono capace oggi e immagino ciò che potrò fare in futuro. A me questo basta. I lettori, poi, scelgono in libertà. Chi mi ama mi segua, gli altri dovrebbero soltanto imparare a parlare dell'oggetto e non della persona.

Uberto, sarò sincero: a me di tutta questa storia del fantasy italiano interessa davvero poco discutere. A me interessa conoscere voi autori, con l'occhio di un lettore ancora entusiasta, anche se molto difficile di gusti rispetto al passato. A me interessa leggere buona fantasy. Fine. Mi piacerebbe si creasse movimento, tra noi autori. Ma ho rinunciato a parlare di questo, perché ho sprecato molto fiato, non approdando a nulla.
Quello che i lettori dovrebbero imparare a scorgere è il rispetto che c'è tra noi, l'apertura che c'è tra noi, che abbiamo idee e formazioni diverse, ma siamo sempre pronti a dialogare, a capire, a metterci in discussione - fermo restando la propria esperienza personale, che porta a stabilire dei punti fermi, inconfutabili poiché applicati dal soggetto a se stesso.

Ciò che conta è non sedersi, lavorare con abnegazione e umiltà, scrivere con onestà intellettuale assoluta e guardare sempre avanti. Tutto il resto sono chiacchiere, se vuoi interessanti, ma che concretizzano ben poco - se non mal di testa, amarezza e arrabbiature.
Non trovi?

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie