lunedì 3 settembre 2007

Back to reality - i cinque guasconi

Terminate le ferie il ritorno nella torrida Parma ha rivelato sorprese piacevoli e sorprendenti. Innanzitutto faccio i miei auguri a Daniele e Francesca che sono freschi di matrimonio (stamattina!) e ne approfitto subito per narrarvi come è andata la prima parte di questa allegra giornata con un raccontino.



La mattina di cinque guasconi.

Oggi si sposa il Poeta.



Lasciamo sedimentare la notizia.

Ormai è tutto pronto. La sveglia è alle 7. Doccia, vestizione, pronti, via.
Parma-Vignola.
La giornata è un vecchio album di piccoli flash che immortalano ricordi brevi ma forti, intensi.
Fornopower sistema la gallina
Il Cappellano ha buoni motivi per essere in mutande.
Il Tinto prende un caffé.
Il Primitivo “dimentica” per un attimo il Busso.
Il Capitano non c’è.
L’autostrada è un serpentone di macchine sfuggenti.
Ci vendono Vignola come un piccolo centro nel modenese. Mi immagino un cartello bianco con un cartello dei (50) che fa capolino tra i pioppi della verde Emilia. Mi immagino uno di quei vecchi municipi degli anni venti con lo stile squadrato che andava in quell’epoca. E invece ci ritroviamo una città vera e propria con una strada lunghissima ed interminabile che serpeggia tra le case tra il cartello [VIGNOLA] e il municipio.
E il viaggio procede a flash.
Il rinfresco di un matrimonio a destra.
Un altro a sinistra.
Poi la deflagrazione. Lo scoppio, il tuono dell’idea del Busso, un fulmine a ciel sereno.
«Dai, dai, imboschiamoci a un matrimonio» è il delirio di un pazzo. Un pazzo che trova altri quattro guasconi più pazzi di lui. Basta il sorriso furbetto di un monello che rifugge ancora le responsabilità. Parcheggiamo al municipio e risaliamo la corrente. Formazione Ubywan, Tinto, Primitivo, Busso, Cappellano. Il resto è silenzio.
Al primo rinfresco stanno smontando tutto, gli uomini del catering stanno sistemando il furgone.
«Ma sono già andati?» la faccia di bronzo del Cappellano è un gigante di Riace, difficile resistere alla sua sicurezza.
«Sì, da cinque minuti.»
«Accidenti, e ora come facciamo? E qui, hanno finito tutto? Non ci hanno lasciato niente?» è un’improvvisazione genuina, scultorea.
«C’è un po’ di cocktal alcolico, dai, ve lo vado a prendere» una gentilissima bionda fa gli onori di casa in un cortile che profuma di paste appena terminate. Un sito archeologico dei festeggiamenti che furono.
Il Tinto finge una telefonata, straparlando al telefono. Noi altri chiediamo informazioni, giustificandoci. «C’era fila in autostrada, sa, noi veniamo da Parma...»
«Sapete dov’è la chiesa?» domandano loro.
«Certo, abbiamo la piantina in macchina» civettiamo io e il Cappellano, reggendoci il gioco.
Quando infine abbiamo spazzolato la brocca profumata di frutta e rum salutiamo cortesemente e leviamo le tende.
Sulla strada del ritorno ci pervade un folle delirio di impunità ed onnipotenza. aggiungiamo il secondo rinfresco, in una villetta cinta da siepi verdi. È protetta dolcemente, ma gli arbusti sono troppo fragili per la nostra macchiavellica irruenza.
Il Berta guarda il campanello, mentre da lontano, nel giardino, i camerieri del catering rientrano con i pasticcini supertisti del rinfresco.
Gli agnelli sacrificali.
«Era qua, è questo il cognome» il Tinto regge il gioco, giunonico. Agguantiamo una cameriera ed entriamo nel cortile.
«Sono già andati via tutti?»
«La sposa è appena partita» commenta lei, reggendo ricchi vassoi trabordanti pasticcini. «Voi dovete essere gli amici dello sposo...» la voce ammicca quel che non fanno gli occhi.
«Brava, da cosa si vede?» l’espressione del Cappellano è lo schizzo caravaggesco di una grande truffa, è solare, esagerata ma puntuale, perfetta.
«Si vede, si vede» risponde lei, nascondendoci un segreto che non le carpiremo mai. È in questo momento che parte il Tinto, possente come una locomotiva, le braccia aperte per contenere tutto il mondo.
Temiamo tutti l’inevitabile, il Tinto che abbraccia la cameriera, creando un imbarazzo insostenibile. E invece ci meraviglia tutti. Il nostro pantagruelico Tinto ha occhi golosi che puntano il vassoio con i dolci, le mani avide lo sottraggono con un’astuzia corsara cui non si può dir di no, e la cameriera sorride e cede il bottino, come una vestale violata da un boccaccesco sacerdote.
Salutiamo per affrettarci altrove e infine gustiamo la preda, banchettando come pirati, mentre le nostre gambe ci guidano quasi insensibili verso un bar del centro dove il Capitano e Fornopower hanno dato inizio agli aperitivi.
Io e il Busso affoghiamo nelle lacrime di risate scroscianti, pensando che potevamo chiedere di entrare in casa per usare il bagno ed uscire con tutta l’argenteria. «È uno scherzo, è uno scherzo per gli sposi» ridiamo a creapelle immaginando un epilogo del genere.
I Gladiators sono un branco, ma sono un branco onesto!

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